Perché Greenpeace Italia, ReCommon e singoli cittadini e cittadine hanno deciso di portare ENI in tribunale? 

In quanto organizzazioni operanti in Italia, Greenpeace Italia e ReCommon da anni hanno campagne attive per chiedere a ENI di cambiare le proprie politiche industriali affinché non impattino ulteriormente sul clima del Pianeta. Questo perchè ENI è la multinazionale energetica italiana che, con le sue operazioni sparse per il mondo, più di tutte tra le realtà fossili del nostro Paese produce in emissioni climalteranti in una quantità superiore a quelle prodotte annualmente in Italia. ENI è, inoltre, la diciannovesima società petrolifera per produzione di petrolio e gas e la ventesima per espansione di questa produzione al mondo. In particolare, a livello globale ENI è la terza società per volumi di operazioni di espansione di petrolio e gas in Africa. 

Nonostante la definizione di una strategia di decarbonizzazione per l’azienda, questa non risulta in linea con gli obiettivi sanciti dall’Accordo di Parigi sul clima. ENI inoltre insiste nel voler aumentare la produzione di petrolio e gas per raggiungere un picco entro il 2030: qualcosa di inconciliabile con gli impegni climatici secondo cui da oggi la società dovrebbe smettere l’espansione di petrolio e gas e ridurre progressivamente la sua produzione con gli impianti esistenti.

L’obiettivo principale di questa azione legale è quello di stabilire un importante precedente in un tribunale italiano, ossia che gli impegni dell’Accordo di Parigi si applicano anche alle grandi società energetiche private come ENI. Vogliamo inoltre dimostrare che anche singoli cittadini e cittadine e associazioni di interesse pubblico, come Greenpeace Italia e ReCommon, hanno diritto a chiedere conto dei danni che gli effetti dei cambiamenti climatici hanno su tutti e tutte noi, per i quali le più grandi società energetiche italiane sono fortemente responsabili. Infine, chiediamo che questi danni siano accertati in quanto violazioni di diritti umani fondamentali, quali il diritto alla vita, alla salute e a un ambiente salubre.

Una condanna di ENI obbligherebbe finalmente la società a rivedere la sua strategia industriale. Insieme alla società abbiamo citato in giudizio anche il Ministero dell’Economia e delle Finanze e la banca pubblica di investimenti Cassa Depositi e Prestiti – in quanto realtà di natura pubblica che nel complesso ne detengono la quota di maggioranza perché una loro condanna obbligherebbe anche lo Stato italiano a giocare un ruolo più incisivo nel far sì che ENI rispetti l’Accordo di Parigi.

Qual è l’impatto dell’azienda sul clima del Pianeta?

Secondo modelli dell’attribution science nell’ambito delle scienze climatiche, che stabiliscono un nesso causale tra le emissioni climalteranti e chi le ha generate, le emissioni cumulative di CO2 e CH4 attribuite a ENI nel periodo 1988-2015 ammontano allo 0,6% delle emissioni cumulate industriali globali. Ciò significa che ENI è stata responsabile fino a 0,395 ppm dell’aumento della concentrazione della CO2 in atmosfera, dell’innalzamento di 0,0037 °C della temperatura media terrestre globale e di 0,21 mm di incremento globale del livello dei mari.

Secondo i modelli che attribuiscono un budget di carbonio massimo ai principali inquinatori del pianeta così da rimanere entro il riscaldamento di 1,5 gradi Celsius come richiesto dall’Accordo di Parigi, con l’attuale livello di produzione di petrolio e gas e la prevista espansione nei prossimi anni, al 2030 ENI avrà superato di ben il 22 per cento la quota che si può permettere sulla base dello scenario “emissioni nette zero” dell’Agenzia Internazionale dell’Energia.

Chi sono i/le privati/e cittadini/e che partecipano alla causa?

Sono dodici cittadini comuni, alcuni risiedono in aree del nostro Paese già oggi maggiormente impattate dai cambiamenti climatici: il Polesine e il Delta del Po, dove gli impatti della siccità, del rientro del cuneo salino e delle ondate di calore è storia di tutti giorni; l’area di Venezia, a rischio scomparsa sotto le acque; le Dolomiti, funestate da tragedie quali l’uragano Vaia e il crollo del ghiacciaio della Marmolada; le aree costiere del Sud d’Italia a rischio per l’innalzamento dei mari; la Pianura Padana, sempre più colpita da ondate di calore, siccità; le aree dell’Italia centrale, come le Marche, soggette a eventi climatici estremi come quello che ha interessato tra le altre città anche Senigallia nel settembre 2022.

Tutte e tutti sono cittadini comuni che hanno deciso di attivarsi direttamente perché stanchi di ascoltare le martellanti pubblicità di ENI che dipingono l’azienda come green, mentre in realtà continua a generare pesanti impatti ambientali e sanitari sui territori e ad alimentare il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici. Vista l’inazione del governo, azionista per circa il 30 per cento in ENI, hanno ritenuto un dovere civico unirsi a Greenpeace Italia e ReCommon nell’ambito di questa citazione contro ENI e il Ministero dell’Economia e delle Finanze e Cassa Depositi e Prestiti.

Perché portare l’azienda in tribunale e non provare ad aprire un dialogo?

Per anni ReCommon e Greenpeace Italia, in qualità di azionisti “critici”, hanno avuto un’interlocuzione pubblica con i vertici della società, ad esempio portando nelle assemblee degli azionisti le istanze promosse dalle comunità impattate dalle operazioni di ENI in Italia e nel mondo, senza però ottenere alcuna risposta convincente. Di fronte all’ostinazione dell’attuale management dell’azienda di non cambiare strada e rivedere la sua strategia industriale, non ci resta che sfidare ENI in tribunale, come fatto dalle organizzazioni della società civile nei Paesi Bassi Con Shell e in Francia con TotalEnergies.

ENI insiste nella strategia di espansione del gas, con il sostegno del governo italiano, con la finalità di rendere l’Italia un hub del gas per l’Europa e l’area del Mediterraneo: un obiettivo chiaramente in conflitto con l’urgenza di uscire dal fossile per far fronte alla crisi climatica.

È una questione di giustizia climatica: già oggi milioni di persone in Italia e nel mondo soffrono gli impatti dei cambiamenti climatici. Non possiamo più aspettare, dobbiamo obbligare i giganti del petrolio e del gas a cambiare.

Greenpeace Italia, ReCommon e le persone che partecipano al procedimento chiedono un risarcimento economico all’azienda nell’ambito di questa causa civile?

Non con questo atto di citazione. Le associazioni e i/le cittadini/e privati/e chiedono al giudice del tribunale di Roma solamente un accertamento del danno causato loro da ENI tramite gli impatti patrimoniali e non conseguenti ai cambiamenti climatici a cui la società ha contribuito, e in particolare la violazione dei loro diritti umani. Allo stesso tempo chiedono che il giudice, tramite un’azione inibitoria, faccia cessare il comportamento lesivo di ENI e condanni l’azienda ad adottare una strategia industriale che riduca le emissioni climalteranti associate alle sue operazioni del 45 per cento entro il 2030, in linea con quanto richiesto dall’Accordo di Parigi; inoltre si chiede la condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze e Cassa Depositi e Prestiti, azionisti pubblici influenti di ENI, ad adottare una politica climatica che guidi la loro partecipazione nella società in linea con l’Accordo di Parigi.

Gli attori che portano avanti questa causa civile chiedono che, qualora ENI non attui subito il cambiamento della strategia industriale come richiesto dal giudice in caso di successo della causa civile, il tribunale imponga una sanzione alla società proporzionale al ritardo nel dar seguito all’obbligo riconosciuto. Lo stesso dovrà valere per gli azionisti pubblici se non attuano quanto richiesto dal tribunale in caso di condanna.

In caso di riconoscimento del danno ricevuto, le associazioni e i/le cittadini/e privati/e potranno rivolgersi a un altro giudice civile per la quantificazione di questo danno, se lo riterranno opportuno.

SUI PIANI DELL’AZIENDA

Perché non ritenete credibile la svolta green di ENI?

ENI è tra i maggiori produttori di petrolio e gas al mondo, ed è la realtà fossile italiana che emette più CO2, tra i principali emettitori di anidride carbonica del pianeta: da sola nel 2021 ha prodotto 456 Mt CO2eq, più del totale del nostro Paese. Per decenni, inoltre, pur consapevole degli impatti delle proprie attività fossili sugli equilibri climatici del Pianeta, come molte big dell’oil e gas internazionali ENI ha deciso di proseguire comunque con lo sfruttamento di idrocarburi.  ENI è certamente una realtà importante per il nostro Paese, per questo una sua reale svolta verso un futuro in cui le rinnovabili saranno al centro del suo business potrebbe essere uno straordinario esempio di cambiamento in Italia e a livello globale. Finora però questa svolta green, malgrado i continui e martellanti annunci della società a base di greenwashing, è ancora lontanissima dall’essere realtà. L’azienda dichiara di voler essere green e di star agendo per rispettare l’accordo di Parigi, ma in realtà prevede di aumentare la propria produzione di idrocarburi. Secondo uno studio di Reclaim Finance,  gli attuali piani aziendali prevedono  che la produzione di idrocarburi sarà superiore del 70% rispetto al livello richiesto dagli scenari di riduzione delle emissioni “Net Zero Emission – NZE” dell’Agenzia Internazionale dell’Energia. Inoltre l’obiettivo di riduzione delle emissioni che l’azienda si pone al 2030 è il 22% più alto dello scenario NZE e 9% dello scenario APS IEA below 2°C.  ENI, quindi, al momento con le sue attuali politiche non riuscirebbe  a rispettare l’accordo di Parigi. I piani aziendali sono, inoltre, pieni di false soluzioni: Carbon Capture and Storage (CCS) e sistemi come quello REDD+ sono utilizzati per continuare a tenere in vita i business dell’azienda e non per risolvere il problema delle emissioni di anidride carbonica; lo stesso si può dire sui piani che ENI ha sull’idrogeno che, se non prodotto da fonti rinnovabili, avrà un impatto elevato e verrà usato come scusa per continuare ad estrarre gas fossile.

Anche il lancio di Plenitude è l’ennesima operazione di greenwashing dell’azienda: nel 2021 le vendite di questa costola di ENI sono state per il 35% di energia elettrica e per il 65% di gas fossile  questa energia elettrica meno del 50% è rinnovabile. Pertanto per ogni euro investito in plenitude (quindi, non solo in rinnovabili, ma anche in gas)) ENI ne investe 15 in idrocarburi, dunque, per ogni euro investito in fonti fossili, meno di 7 centesimi sono investiti in energie rinnovabili.

Come anticipato, chiediamo a ENI di cambiare per guidare tutto il Paese verso un futuro 100% rinnovabile. Una richiesta non solo realistica, ma necessaria: secondo dati di Elettricità futura sbloccando le autorizzazioni per le rinnovabili potremmo installare in Italia 85 GW in otto anni riducendo le importazioni di gas di 160 miliardi di metri cubi e risparmiando 110 miliardi di euro. Anche uno studio di Greenpeace del 2020 ha dimostrato che una decarbonizzazione del Paese è possibile in linea con l’Accordo di Parigi

MOBILITAZIONE

Come posso supportare Greenpeace Italia e ReCommon nell’ambito di questa causa?  

Puoi unire in diversi modi la tua voce a quella di Greenpeace e ReCommon e dei cittadini e cittadine che hanno deciso di citare ENI in giudizio davanti al Tribunale di Roma. Puoi ad esempio firmare la nostra petizione. Ma non è tutto: puoi parlare de #LaGiustaCausa e condividere petizione e aggiornamenti con le persone a te vicine tramite passaparola o sui social, così da far arrivare questa importante iniziativa a più gente possibile. Inoltre, mobilitarsi per cercare di cambiare i giganti fossili come ENI e per difendere il nostro futuro richiede tanto impegno ed energie: con una donazione puoi aiutarci a continuare questa battaglia. Ogni gesto è importante.