Grazie alla pressione di Greenpeace Italia e Re:Common, supportate dalle migliaia di persone che hanno deciso di unirsi all’appello, in queste ore sono arrivati due annunci positivi per il clima da parte di due giganti della finanza italiana: Assicurazioni Generali e Intesa Sanpaolo.

Partiamo dal gruppo triestino. Generali ha deciso nelle scorse ore di non assicurare più progetti e società coinvolte nell’estrazione di petrolio da sabbie bituminose, una delle tipologie di greggio più inquinanti al mondo. Il Leone di Trieste ha deciso di includere nella lista nera questo settore, al quale non fornirà più finanziamenti e coperture assicurative, includendo anche oleodotti e altre infrastrutture associate.

Un passo concreto che accogliamo con soddisfazione. Generali però dovrebbe fare altrettanto con il carbone. Destano ancora forte preoccupazione infatti i suoi legami con alcune tra le società del carbone più inquinanti in Europa, in particolare in Polonia e Repubblica Ceca. Tra queste PGE e CEZ, le cui centrali e miniere si stima causino oltre 1.800 morti premature in Europa ogni anno.

Se la principale compagnia assicurativa italiana tiene davvero alla tutela del Pianeta e alla salute delle persone, deve abbandonare definitivamente il carbone, così come fatto con il settore delle sabbie bituminose.

Activist protest outside the annual meeting of Generali Insurance.

Un primo passo in avanti, seppur molto timido, per abbandonare il carbone è arrivato da Intesa Sanpaolo che, pochi giorni fa, ha reso noto di aver adottato una policy che limita i finanziamenti al carbone, il più inquinante tra i combustibili fossili. Dopo Assicurazioni Generali e UniCredit, Intesa è la terza grande istituzione finanziaria italiana a compiere un passo simile.

Tuttavia, da quanto emerge dalla “versione sintetica” del documento approvato, la mossa di Intesa – peraltro tardiva rispetto a quasi tutte le grandi banche europee – manca di ambizione e credibilità. Sebbene l’istituto torinese si impegni a non finanziare più in maniera diretta la costruzione di nuove centrali e miniere a carbone, non vi è alcuna limitazione rigorosa per quanto riguarda i prestiti alle società del settore.

Intesa Sanpaolo applica inoltre un inaccettabile doppio standard tra paesi OCSE e quelli in via di sviluppo, che non ha precedenti tra policy di altre banche europee. Per quanto riguarda questi ultimi, Intesa ha adottato criteri molto più blandi, che le consentiranno di continuare a finanziare copiosamente il carbone in Asia ed in Africa. Altrettanto preoccupante è che Intesa voglia continuare a finanziare persino quelle società che ancora oggi prevedono di realizzare nuove centrali a carbone, nonostante gli appelli della scienza e delle Nazioni Unite a porre immediatamente una moratoria su questi impianti.

Come rivelato dal rapporto “Finanza Fossile”, pubblicato lo scorso mese da Re:Common e Greenpeace, nel 2019 Intesa Sanpaolo è stata responsabile con i suoi finanziamenti di 35 milioni di tonnellate di CO2, superiori a quelle dell’intero comparto agricolo italiano nello stesso anno.

Per questo, lo scorso febbraio eravamo entrati in azione presso la sede milanese di Intesa Sanpaolo, proprio per denunciare gli investimenti della banca nel carbone e, in particolare, il finanziamento concesso al gruppo indiano Adani, promotore della miniera di Carmichael in Australia.

Action at Intesa Sanpaolo Headquarters in Milan against Coal Funding. © Greenpeace / Alessandro Vona
Greenpeace activists, wearing koala masks, peacefully demonstrated in front of the Intesa Sanpaolo headquarters to ask to stop funding for fossil fuels, the main cause of the climate emergency. Activists set up a photographic exhibition with images of the fires that are devastating Australia, while climbers opened a big banner on the facade of the building. © Greenpeace / Alessandro Vona

Quanto fatto finora da Intesa sul carbone non può certo considerarsi una risposta soddisfacente alle nostre richieste, dato che la strada da compiere è ancora molta. La policy non è infatti minimamente all’altezza di quelle delle sue competitor europei, come Credit Agricole e ING. Risulta anche inferiore a quella adottata dalla sua diretta concorrente UniCredit, che a sua volta non era certamente tra le più ambiziose d’Europa.

Il settore della finanza italiana ha mosso dunque due passi avanti importanti, ma comunque non sufficienti. Il Pianeta è in fiamme e l’emergenza climatica non ammette approcci timidi e greenwashing. Per questo continuiamo a chiedere ai più grandi attori finanziari italiani di fermare immediatamente i loro investimenti nel settore del carbone e degli altri combustibili fossili.