A small team of Greenpeace UK activists project the message ‘Green Jobs Not Billionaire Bailouts’ onto Westminster in London.

Cinque giorni fa è stato presentato il Rapporto Annuale Istat, che ci ha lasciato con una fotografia piuttosto impietosa della situazione occupazionale italiana.

Non ci sono mezzi termini: l’occupazione è in crisi, la mobilità sociale, intesa come possibilità dei figli di migliorare la propria posizione rispetto ai padri, è addirittura diminuita, le disuguaglianze in compenso sono rimaste, e la classe sociale in cui nasciamo continua a determinare, in assenza di un mercato del lavoro “in salute”, le condizioni in cui vivremo ogni singolo giorno della nostra esistenza.  Non solo, l’Istat ci dice che “il sopraggiungere dell’epidemia ha colpito il mercato del lavoro, causando una riduzione di 124 mila occupati (-0,5 per cento) a marzo, più che raddoppiata ad aprile (-274 mila, -1,2 per cento). Il calo dell’ultimo mese è il più ampio nella serie storica dal 2004”. 

Che cosa c’entra tutto questo con l’ambiente, vi chiederete voi.

C’entra, e per vari motivi. Il primo è che uno sviluppo del Paese in chiave green equivale ad un’espansione dell’occupazione in settori che prima erano esigui o poco considerati, come ad esempio quello del solare e dell’eolico,  sia in termini di progettazione e installazione, che anche di manutenzione.

Workers are cleaning the Solon AG photovoltaic facility on the roof of the Ministry for Economy and Work in Berlin.

La rivoluzione energetica porta lavoro

Nella nostra Rivoluzione Energetica, il modello che abbiamo commissionato di recente all’Institute for Sustainable Future di Sydney (ISF), con la collaborazione  del DLR tedesco (Istituto di Termodinamica dell’Agenzia spaziale tedesca) e dell’Università di Melbourne, abbiamo presentato un’analisi di come potrebbero cambiare gli scenari occupazionali in Italia se sfruttassimo davvero il potenziale rinnovabile che abbiamo.

Nello studio abbiamo considerato che ai posti di lavoro persi inevitabilmente nel settore fossile farebbero da specchio quelli creati proprio nel comparto rinnovabile.

Se l’attuale piano del Governo prevede un leggero aumento dell’occupazione nel settore energetico rispetto al 2017 (dagli 88 mila occupati di oggi a 98 mila nel 2030), i nostri scenari “rivoluzionari” contemplano un aumento dei posti di lavoro molto più rilevante. Se l’Italia infatti scegliesse di adottare piani più ambiziosi ed efficaci per affrontare l’emergenza climatica, potrebbe arrivare ad avere un totale di un totale di 163 mila occupati nel 2030, di cui l’86,5% nei settori delle fonti rinnovabili (parliamo quindi di 65 mila posti di lavoro in più rispetto allo scenario “governativo”).

La tutela dell’ambiente e la lotta alla disuguaglianza

Quando parliamo di lavoro il pensiero va anche alla crescita del Paese e agli stimoli che possono fare da leva per risollevare l’economia. Spesso si ritiene – a torto – che essere ambientalisti significhi essere contrari allo sviluppo economico e alla produzione: niente di più falso per screditare le istanze di chi ha cuore il Pianeta (e i lavoratori).

Bisogna semplicemente considerare a quale tipo di crescita vogliamo aspirare: come Greenpeace ad esempio chiediamo che nel sistema di assegnazione dei fondi pubblici, le sovvenzioni a armamenti e ad attività dannose siano abbandonate in favore di investimenti in welfare e salute, per promuovere le imprese che producono in modo sano ed ecologico, per mettere in pratica la riconversione energetica nazionale e di rigenerazione delle nostre città, insomma, per ripensare radicalmente il sistema produttivo ed economico del Paese e smettere di anteporre la logica del profitto ai diritti delle persone e alla tutela dell’ambiente. 

Lo sviluppo del settore occupazionale legato all’energia rinnovabile poi non è certo l’unico aspetto da considerare.

La lotta alla disuguaglianza, che è un problema così profondamente radicato nell’attuale sistema capitalistico, passa anche da forme di sostegno economico e di contrasto alla povertà diverse ed innovative, come ad esempio il reddito energetico, attuato prima in alcuni Comuni come Porto Torres in Sardegna, o come nella Regione Puglia, e che oggi si vorrebbe “allargare” su scala nazionale, o come la nascita di comunità energetiche, cioè piccole realtà di persone che facendo rete sono in grado di produrre, sfruttare e rivendere la propria energia pulita

Ci raccontano che sia un libro delle favole: la realtà è che finora quasi nessuno si è preso la briga di mettere in atto davvero tutto quel che si poteva fare per avere un mondo più salubre ed equo per tutti. Dunque, è venuto il momento di cominciare a chiederlo!

Workers repair solar panels on the roof of the chancellery in the government quarter in Berlin.