La guerra in Ucraina e la necessità di sostituire le importazioni russe avrebbero dovuto essere l’occasione per accelerare la transizione ecologica.

Il governo, invece, non ha scelto solo di sostituire il gas di Putin con quello di altri fornitori, ma anche di puntare sulla militarizzazione degli approvvigionamenti energetici, come dimostrano le audizioni dei ministri degli Esteri e della Difesa del 26 luglio e la relazione governativa per la proroga delle missioni militari, presentata al Parlamento il 1° luglio.

Difesa militare degli approvvigionamenti energetici: i documenti al vaglio delle Camere

Il documento all’esame in questi giorni alle Camere sottolinea che “nelle aree di interesse strategico per l’Italia” si assiste a “una competizione per le risorse naturali ed energetiche sempre più accesa”, e che la “politica energetica” italiana identifica “Algeria, Libia, Iraq e Penisola Arabica, quali punti cardine per la sicurezza dei nostri approvvigionamenti”. Tutte aree – guarda caso – presidiate dalle nostre Forze armate. 

Nel corso della sua comunicazione, il ministro della Difesa Lorenzo Guerini è stato ancora più esplicito, dichiarando che “l’impiego delle Forze armate nelle missioni internazionali” è teso, tra l’altro, alla “prevenzione e gestione di scenari di crisi conseguenti tanto alle minacce convenzionali, quanto a quelle ibride”, tra cui “le restrizioni all’approvvigionamento energetico”.

Altrettanto inequivocabile nel delineare la forte relazione tra l’impegno militare italiano e le nostre importazioni di gas e petrolio è stato il Capo di Stato Maggiore della Difesa, audito in Parlamento a metà luglio: “La nostra Marina sta pattugliando il nostro fronte Sud, un’area da mantenere attenzionata, da cui possono provenire criticità e da cui possono essere tratti approvvigionamenti alternativi di idrocarburi”.

La diversificazione energetica a mano armata

Mentre sul versante delle rinnovabili e delle politiche di efficienza la situazione ancora non vede progressi significativi, siamo di fronte a una inaccettabile politica di diversificazione energetica a mano armata. Una scelta già anticipata in maggio dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini, che nel corso della sua audizione sulla situazione in Ucraina aveva sottolineato “il dovere di rimodulare una situazione di dipendenza dalle forniture russe non può prescindere dal consolidamento delle condizioni di stabilità di quelle regioni che rappresentano una valida alternativa per l’approvvigionamento delle risorse energetiche”. In quell’occasione, Guerini aveva ricordato che “contribuire alla garanzia della sicurezza delle reti e delle rotte commerciali anche con particolare attenzione al settore energetico” era uno degli obiettivi della difesa.

Il settore petrolifero e del gas è l’ostacolo principale al cambiamento sia nel mondo – dove guerre sono già state causate e finanziate da petrolio e gas – che in Paesi come l’Italia, dove ENI continua ad avere un ruolo dominante nelle scelte di governo. Eppure, anche senza richiamare il legame consolidato tra crisi climatica e uso delle fonti fossili, numerosi studi segnalano che le cause profonde di molte crisi che la comunità internazionale sta tentando di risolvere – dalla pirateria nel Golfo di Guinea all’instabilità in Iraq – siano da ricercare nelle diseguaglianze economiche e nel deterioramento ambientale connessi alle attività estrattive. Le stesse che il nostro governo va a difendere in giro per il mondo, in un drammatico circolo vizioso che Greenpeace chiede da tempo di interrompere. 

La spesa per le missioni militari a tutela delle fonti fossili

Per ora non siamo stati ascoltati, e infatti una nuova ricerca di Greenpeace Italia rivela che nel 2022 la spesa per le missioni militari a tutela delle fonti fossili – tra cui due operazioni esplicitamente a protezione delle piattaforme ENI – sarà addirittura più alta di quella per il 2021 (già un anno record secondo un nostro rapporto pubblicato a dicembre), arrivando a ben 870 milioni di euro.

Le nostre richieste al Parlamento

Ecco perché chiediamo al Parlamento, seppur sciolto anticipatamente, di non autorizzare le missioni militari collegate all’approvvigionamento di gas e petrolio e di aprire un dibattito franco e aperto sugli interessi strategici che l’Italia vuole difendere in giro per il mondo. Sperando che in campagna elettorale qualcuno batta un colpo contro simili scelte, chiaramente in contraddizione con la tutela della pace e dell’ambiente, e ponga l’assoluta urgenza di accelerare la transizione energetica verso le rinnovabili.

Come ha giustamente richiamato Antonio Guterres, segretario generale dell’ONU, “se agiamo insieme, la trasformazione energetica rinnovabile può essere il progetto di pace del XXI secolo”.