Quando è stata diffusa la notizia dell’accordo di sponsorizzazione tra la conferenza delle Nazioni Unite sul clima (COP27) e Coca-Cola, molte persone avranno pensato a uno scherzo, seppur di cattivo gusto. 

Purtroppo è invece tutto vero. Il principale evento globale in cui governi, imprese e rappresentanti della società civile si incontrano per affrontare l’emergenza climatica – che quest’anno si terrà nella località costiera egiziana di Sharm el-Sheikh (Egitto), dal 6 al 18 novembre – vedrà tra gli sponsor proprio la celebre multinazionale statunitense. 

Eppure, l’attività produttiva dell’azienda di Atlanta è legatissima alla questione climatica, più di quanto si pensi. Come noto, le bibite che vende in tutto il mondo sono infatti confezionate per la maggior parte in bottiglie di plastica, derivanti dalla raffinazione di petrolio e gas fossile. Il 99 per cento della produzione mondiale di questo noto materiale sintetico ha infatti origine proprio da quegli stessi idrocarburi il cui sfruttamento ha generato l’emergenza climatica in corso. L’inquinamento da plastica e l’emergenza climatica, due delle crisi ambientali che caratterizzano i nostri tempi, sono facce della stessa medaglia, riconducibili a quel business inquinante che sta portando la nostra specie sull’orlo del baratro. 

È evidente che per decarbonizzare la nostra economia in tempi brevi è necessario non solo intervenire sulla produzione di energia ma anche su tutti quei settori industriali, come quello della plastica, che non riescono a prescindere dallo sfruttamento degli idrocarburi

Ad oggi, se la produzione di plastica fosse una nazione risulterebbe essere il quinto/sesto Stato per emissioni di gas serra durante il suo intero ciclo di vita. Ma l’impatto sul clima (e sul Pianeta) delle materie plastiche è destinato a peggiorare visto che, secondo le stime più accreditate, la loro produzione è prevista in crescita vertiginosa nei prossimi decenni. A trainare questo incremento concorreranno proprio le grandi multinazionali che basano il loro business su grandi quantità di plastica monouso. E tra loro Coca Cola occupa un’incontrastata posizione di vertice. 

Stando ai dati pubblici diffusi dalla stessa multinazionale, relativi al 2020, Coca Cola utilizza circa 3 milioni di tonnellate di plastica ogni anno. Un quantitativo pari a circa centoventi miliardi di bottiglie monouso che, se messe tutte in fila, coprirebbero per circa sessanta volte la distanza Terra – Luna. 

Partendo da questi numeri non sorprende se, per quattro anni di fila, l’azienda produttrice della famosa bibita gassata sia risultata vincitrice della speciale classifica della coalizione Break Free From Plastic. I rifiuti in plastica riconducibili all’azienda statunitense sono risultati i più abbondanti nelle raccolte effettuate nell’ambiente dalle varie organizzazioni che fanno parte della coalizione. E a poco servono i recenti impegni della stessa multinazionale, volti a raggiungere l’obiettivo di vendere il 25 per cento delle proprie bevande in contenitori ricaricabili e riutilizzabili, fintanto che non decide di dare un taglio definitivo al monouso in plastica. 

Ci auguriamo che l’accordo di sponsorizzazione siglato per la COP27 sul clima possa essere il preludio a un annuncio pubblico in cui Coca Cola si erga al ruolo di leader globale nella lotta alla crisi climatica e all’inquinamento da plastica, impegnandosi davanti al mondo intero a eliminare l’usa e getta, in favore di sistemi di vendita basati sulla ricarica e sul riutilizzo. Qualora così non fosse, la sponsorizzazione risulterà uno dei casi più noti di inquinamento dei negoziati sul clima, nonché l’ennesimo caso – stavolta davvero eclatante – di greenwashing aziendale.