Ieri con “Il Manifesto” è uscito un nuovo supplemento dedicato all’ambiente, “Gambero Verde”. Facciamo i migliori auguri a questa iniziativa editoriale, con la quale abbiamo avviato una collaborazione. Il primo tema che proponiamo ai lettori del quotidiano è il consumo eccessivo di capi d’abbigliamento e accessori che fa male al Pianeta.
Si può fare qualcosa per invertire la rotta? Siamo convinti di sì e rispondiamo al Black Friday non solo sostenendo il “Buy Nothing Day” (che si celebra sempre oggi, 24 novembre) come momento di riflessione urgente e necessario, ma anche promuovendo una settimana di iniziative in tutto il mondo, chiamata “Make Something Week”, dal 2 al 10 dicembre. In Italia ci saranno due eventi pubblici aperti a tutti, a Milano il 3 dicembre in collaborazione con Fashion Revolution e a Roma il 9 dicembre. Un’occasione per incontrarsi, riflettere e partecipare a laboratori di creatività per garantire una lunga vita a quello che indossiamo.
La catena del fast fashion Hennes & Mauritz – o H&M come siamo abituati a conoscerla – ha portato avanti un’intensa campagna pubblicitaria con lo slogan “Non ci sono regole nella moda eccetto una: ricicla i tuoi vestiti”. L’azienda scandinava si vanta di raccogliere e recuperare i vestiti usati dei consumatori per poi destinarli al riciclo.
Quando Greenpeace ha sottolineato ad H&M la necessità di ridurre l’impiego spropositato di risorse, l’azienda ha risposto con solenni promesse, aggiungendo che presto le innovazioni tecniche avrebbero consentito una vera circolarità dei capi di abbigliamento. Sembrava uno sforzo straordinario e pioneristico per l’intero settore, eppure notizie recenti hanno rivelato che questa promessa è andata letteralmente in fumo.
Recentemente alcuni giornalisti danesi hanno scoperto che H&M conferisce negli inceneritori addirittura vestiti nuovi. Come documentato dalla televisione danese, solo in Danimarca, il colosso del fast fashion ha conferito nell’inceneritore di Roskilde 12 tonnellate di rifiuti tessili ogni anno a partire dal 2013. Dobbiamo aspettarci quindi che anche le nostre vecchie T-shirt, che portiamo indietro nei negozi H&M, fanno la stessa fine?
L’azienda ha dichiarato di bruciare solo vestiti che non possono essere venduti, regalati o riciclati, che sono inutilizzabili a causa di errori di produzione. Ci possiamo fidare? A seguito di una precisa richiesta da parte di Greenpeace, H&M ha ammesso per la prima volta che quello danese non è un caso isolato, ma una pratica comune in tutto il mondo. L’azienda dichiara che si tratta di una soluzione estrema a cui ricorre sporadicamente, per esempio quando le etichette dei jeans presentano elevati residui di piombo. Purtroppo quello di H&M non è un caso isolato ma comune a tanti altri marchi come le griffe del lusso, ad esempio, che distruggono gli abiti non venduti per evitare che finiscano nei mercatini di seconda mano.
Questi dati indicano, in modo inequivocabile, che c’è qualcosa che non funziona nel sistema moda attuale se, per un’azienda che ufficialmente promuove il riciclo dei capi di abbigliamento, è più vantaggioso bruciare i vestiti piuttosto che avviarli correttamente al recupero. Ad oggi non abbiamo sentito una parola da parte di H&M sulla promozione di servizi di riparazione dei vestiti o altre iniziative che ne garantiscano una maggiore durata nel tempo.
In occasione del Black Friday, la giornata che negli Stati Uniti segna l’inizio dello shopping natalizio e che da alcuni anni sta diventando popolare anche in Italia, vogliamo evidenziare le gravi conseguenze sull’ambiente dell’eccessivo consumo, in particolare di capi d’abbigliamento. L’offerta di prodotti a basso costo, come quelli del fast fashion, fa sì che consumiamo risorse e produciamo rifiuti a un ritmo più elevato di quello che il nostro Pianeta può sostenere. Un abito si può riparare e rinnovare, può diventare qualcos’altro, ma certamente non si deve bruciare.