Le Olimpiadi di Parigi sono ormai iniziate e con loro le tante sospirate gare di triathlon e nuoto di fondo nella Senna. Tra un Escherichia coli e un Enterococcus da schivare tra una bracciata e l’altra, c’è però un altro ospite sgradito in cui gli atleti rischiano di imbattersi: è l’acido trifluoroacetico (TFA), un inquinante eterno che fa parte della grande famiglia dei PFAS, la cui origine è riconducibile alla degradazione di vari pesticidi ma non solo.
A questo punto la domanda sorge spontanea: perché nessuno si è preoccupato di bonificare la Senna dai PFAS? Le ragioni sono diverse: vediamole.
Una bonifica “efficace” solo a metà
Come ha riportato un articolo di Le Monde, la Francia ha investito quasi 1,5 miliardi di euro per risanare le acque della Senna in modo da renderla balneabile per le Olimpiadi (e in generale per chiunque). L’intervento, la cui efficacia è al centro di numerose polemiche, si è focalizzato sull’abbattimento dei batteri che appartengono ai generi Escherichia ed Enterococcus, ma ha ignorato del tutto la presenza dell’acido trifluoroacetico (TFA), una tra le sostanze note come PFAS, le sostanze poli- e per-fluoroalchiliche.
I PFAS sono sotto osservazione da tempo, tanto che di recente alcune molecole sono state dichiarate cancerogene (è il caso del PFOA) e possibilmente cancerogene (PFOS). Sul TFA tuttavia mancano ancora studi adeguati. Non sorprende, perché i PFAS sono più di 10 mila molecole, e solo poche sono state studiate in modo approfondito.
Oltretutto studiarli non è semplice, perché le zone inquinate da PFAS spesso sono contaminate anche da altre sostanze inquinanti, il che rende complesso stabilire quali sostanze abbiano un effettivo legame con i problemi di salute riscontrati da chi quelle zone le abita.
L’inquinamento da PFAS della Senna: i valori rilevati
Stando al rapporto realizzato dall’organizzazione ambientalista PAN Europe, l’acqua della Senna ha una concentrazione di TFA pari a 2,900 microgrammi per litro. Un livello che gli esperti definiscono preoccupante. Ma c’è di più. L’organizzazione ha raccolto dei campioni d’acqua da 23 fiumi e falde acquifere dell’Unione Europea e li ha fatti analizzare al laboratorio tedesco “DVGW-Technologiezentrum Wasser” di Karlsruhe. Tra i corsi d’acqua studiati solo l’Elba, il fiume che scorre tra Repubblica Ceca e Germania, risulta avere un valore di TFA più alto di quello riscontrato nella Senna.
Malgrado gli effetti del TFA sulla salute umana non siano ancora noti con certezza, c’è chi si è già esposto: è il caso dell’Istituto nazionale di salute pubblica e dell’ambiente dei Paesi Bassi (RIVM), che sostiene che il TFA possa avere effetti negativi sul sistema immunitario. Proprio per questo, nell’aprile 2023 l’Istituto ha fissato per questa sostanza un valore limite indicativo per l’acqua potabile pari a 2.200 microgrammi per litro in assenza di altri PFAS.
Non dobbiamo abbassare la guardia sui PFAS
Tirando le somme sulla questione della Senna, insomma, sembra che l’inquinamento batteriologico abbia impensierito di più gli addetti ai lavori rispetto a quello chimico. Rimane il fatto che quest’ultimo non può essere considerato meno pericoloso: a conferma di questo c’è il fatto che i PFAS sono sempre più sorvegliati speciali.
Perlomeno la Francia, a differenza dell’Italia, lo scorso aprile ha approvato una legge che vieta la produzione e l’importazione di prodotti che contengono PFAS. Un lieto fine? Probabilmente no, perché il recente cambio di governo ha bloccato l’iter parlamentare. In ogni caso è pur sempre un inizio: in Italia invece il governo continua ancora a ignorare il problema.
Mettiamo al bando i PFAS!
Chiediamo al Governo di varare subito una legge che introduca il divieto dell’uso e della produzione dei PFAS in tutta Italia.