Maiali in un allevamento intensivo rinchiusi in gabbie strette, senza accesso all'aria fresca.
© Greenpeace

In Italia gli allevamenti intensivi rappresentano un business miliardario, ma a beneficio di poche grandi aziende. Ecco cosa è emerso dalla nostra indagine svolta insieme a Openpolis sui guadagni di alcune tra le più grandi aziende del settore e sui loro impatti sull’ambiente in termini di emissioni: perché dietro ai grandi profitti degli allevamenti intensivi si cela un sistema che impatta pesantemente su ambiente e salute pubblica.

Stop allevamenti intensivi!

Firma la petizione per chiedere di bloccare la costruzione di nuovi allevamenti intensivi e di avviare la conversione ecologica di quelli esistenti

Le aziende top player nel settore degli allevamenti intensivi in Italia

I ricavi complessivi delle prime cinque aziende italiane del comparto superano gli otto miliardi di euro annui, secondo gli ultimi bilanci disponibili. Un dato impressionante, se si considera che l’intero settore zootecnico, secondo gli ultimi dati Istat, nel 2024 ha raggiunto un fatturato di circa 22,7 miliardi di euro.

Top 5 aziende per ricavi:

  • Tre Valli (Gruppo Veronesi) – Allevamento e trasformazione carne avicola e suini. Ricavi: € 2.844.346.000 (2024)
  • La Pellegrina (Gruppo Veronesi) – Allevamento suini. Ricavi: € 1.651.311.000 – (2023)
  • Inalca (Gruppo Cremonini) – Allevamento e fornitura carne e derivati. Ricavi: € 1.642.716.000 (2023)
  • Granarolo (controllata da Granlatte) – Latte e prodotti caseari. Ricavi: € 1.246.538.000 (2024)
  • Galbani (Gruppo Lactalis) – Latte e prodotti caseari. Ricavi: € 1.124.074.000 (2023)

L’analisi è stata condotta sui dati delle Camere di Commercio, prendendo in considerazione le società con i codici Ateco principali 01.4, 46.23, 10.1, 10.5 e 10.9. I valori fanno riferimento all’ultima chiusura di bilancio disponibile (luglio 2025).

Mucche incatenate in un allevamento intensivo con segni di sfregamento sul collo
© Greenpeace

I marchi dietro ai colossi del settore

Le prime due posizioni della classifica sono occupate da Tre Valli e La Pellegrina, entrambe riconducibili al Gruppo Veronesi, che controlla marchi noti come AIA, Negroni e Wudy.

Al terzo posto si trova Inalca, parte del Gruppo Cremonini, che riunisce brand come Montana, Manzotin e Ibis. Seguono Granarolo, con i suoi marchi Yomo, Pettinicchio, Amalattea, Centrale del Latte di Milano, e Galbani, parte del gruppo francese Lactalis, proprietario di brand storici come Certosa, Bel Paese e Invernizzi.

Grandi profitti, grandi emissioni

Dal 2016 i profitti di queste aziende sono in costante crescita, mentre le piccole realtà faticano a sopravvivere. Ma c’è un altro fattore che desta preoccupazione: il loro impatto ambientale,

Ecco le emissioni delle 5 aziende che guadagnano di più in Italia dagli allevamenti intensivi secondo i loro  ultimi bilanci e report di sostenibilità:

  • Gruppo Veronesi (Tre Valli e La Pellegrina) – 120.537 tonnellate di CO₂ eq (dati: 2023)
  • Inalca – 170.877 tonnellate di CO₂ eq (dati: 2023), metà generate dagli animali allevati
  • Granarolo – 44.602 tonnellate di CO₂ eq (dati: 2023)
  • Galbani (Lactalis) – 90.843 tonnellate di CO₂ eq (dati: 2019)

(emissioni dirette derivanti dagli animali allevati e dagli impianti di produzione – Categoria Scope 1)

Firma la petizione!

Maiali stipati in un allevamento intensivo rinchiusi in una gabbia stretta, senza accesso all'aria aperta
© Greenpeace

Ma come inquinano gli allevamenti intensivi?

La CO2 equivalente, evidenziata nei bilanci delle rispettive aziende, è una misura standardizzata che serve a misurare l’impatto dei gas serra sul riscaldamento globale e che viene calcolata convertendo le emissioni di gas nell’equivalente quantità di anidride carbonica.

Ma, nello specifico, quali sono i gas serra prodotti dagli allevamenti intensivi che hanno un impatto così devastante su salute e ambiente?

Le principali fonti di emissione sono:

  • Metano: prodotto dagli animali durante la digestione, è un gas serra fino a 80 volte più potente della CO₂ nei primi 20 anni dall’emissione
  • Ammoniaca: generata dalle deiezioni animali, è la seconda causa di formazione di PM2.5, responsabile di circa 50.000 morti premature ogni anno in italia
  • Azoto e nitrati: l’azoto è presente in grandi quantità nelle deiezioni animali. Quando l’accumulo di liquami diventa eccessivo, i composti azotati più solubili (i nitrati) si diffondono rapidamente al suolo, alle falde acquifere e agli ecosistemi.

È questa la formula inquinante che fa degli allevamenti intensivi un sistema sempre più insostenibile per l’ambiente e la nostra salute.

Basta allevamenti intensivi!

Vista aerea delle vasche di liquami di un allevamento di suini
© Will Rose / Greenpeace

La verità dietro alla facciata “verde”

Nonostante questi numeri, le grandi aziende del comparto e le loro associazioni di categoria continuano a proporre il racconto di una zootecnia italiana tradizionale, sostenibile e in difficoltà a causa delle normative europee.

In realtà, i dati mostrano un settore fortemente concentrato nelle mani di pochi gruppi industriali, con margini di profitto elevatissimi e un impatto ambientale significativo.

Le dichiarazioni di figure come Luigi Pio Scordamaglia (Inalca, Assocarni) – secondo cui “la filiera bovina italiana assorbe più CO₂ di quanta ne emetta” – contribuiscono a consolidare una narrazione distorta, che oscura la realtà dei fatti: quella di un comparto dominato da pochi colossi che, pur presentandosi come custodi della tradizione agricola, operano secondo logiche industriali e con conseguenze ambientali tutt’altro che trascurabili.

Il sistema degli allevamenti intensivi va cambiato al più presto!

Dietro l’immagine di una zootecnia italiana “sostenibile” e legata alla tradizione si nasconde infatti un modello dominato da pochi grandi gruppi industriali, in grado di generare profitti miliardari ma anche di lasciare un’impronta ambientale profonda.

L’inquinamento, le elevate emissioni di ammoniaca, la formazione di polveri sottili, la perdita di biodiversità e la progressiva scomparsa delle piccole aziende agricole sono i sintomi di un sistema che consuma risorse naturali e impoverisce i territori.

Ma una transizione è possibile. Per questo abbiamo presentato una proposta di legge per trasformare gli allevamenti intensivi italiani in un modello che lavori con la natura, non contro di essa, riducendo l’impatto ambientale e limitando il potere economico e politico delle grandi aziende che oggi dominano il settore.

Unisciti a noi per chiedere una vera riconversione agroecologica: perché solo cambiando il sistema alla radice possiamo garantire un futuro più giusto, sano e sostenibile per tutti.

Stop allevamenti intensivi!

Chiedi con noi al Governo e al Parlamento italiano di bloccare la costruzione di nuovi allevamenti intensivi e di avviare la conversione ecologica di quelli esistenti.