Il consumo di elettricità e le emissioni di gas serra derivanti dalla produzione globale di chip per l’intelligenza artificiale (IA) sono aumentati rispettivamente del 351% e del 357% tra il 2023 e il 2024. È quanto emerge da un nuovo rapporto di Greenpeace, il primo del suo genere a calcolare le emissioni dovute alla produzione di chip per l’IA.

In Asia orientale, polo globale per la produzione dei semiconduttori, la crescente domanda di chip per l’intelligenza artificiale rappresenta un onere significativo per le reti elettriche e viene soddisfatta principalmente attraverso l’utilizzo dei combustibili fossili, che forniscono il 58,5% dell’energia elettrica in Corea del Sud, il 68,6% in Giappone e l’83,1% a Taiwan. Entro il 2030, si stima che la domanda globale di elettricità per questi chip – circuiti integrati specializzati, progettati per eseguire attività di elaborazione dati e calcoli complessi richiesti dalle tecnologie IA – aumenterà fino a 170 volte rispetto ai livelli del 2023, superando l’attuale consumo di elettricità dell’intera Irlanda.

«Mentre aziende come Nvidia e AMD guadagnano miliardi grazie al boom dell’intelligenza artificiale, trascurano l’impatto climatico delle loro catene di approvvigionamento», commenta Katrin Wu, responsabile del progetto “Supply Chain” di Greenpeace East Asia. «La produzione di chip viene così sfruttata per giustificare una nuova capacità produttiva di combustibili fossili a Taiwan e in Corea del Sud, una domanda che potrebbe e dovrebbe essere soddisfatta da fonti di energia rinnovabile».

In tutta l’Asia orientale, l’industria dei chip soddisfa la nuova domanda di elettricità con false soluzioni climatiche come il gas. Nel 2024, il governo sudcoreano ha approvato la costruzione di una centrale termoelettrica a gas naturale liquefatto (GNL) da 1 gigawatt (GW) per SK Hynix, nel complesso industriale generale di Yongin, e prevede di costruire 3 GW di capacità di GNL per Samsung nel National Semiconductor Cluster. Mentre la Taiwan Power Company (Taipower) ha utilizzato l’aumento della domanda di energia nei settori dei semiconduttori e dell’intelligenza artificiale come giustificazione per espandere i progetti GNL e l’infrastruttura di rete.

«A livello globale a fare notizia è soprattutto il rapido aumento dei costi energetici dei data center per l’intelligenza artificiale, mentre le implicazioni ambientali di altre fasi del ciclo di vita dell’hardware vengono trascurate», commenta Alex de Vries, tra gli autori del rapporto e fondatore della piattaforma Digiconomist. «Eppure, il processo di produzione dell’hardware è ad alta intensità energetica e ha un’impronta ambientale significativa, specie se consideriamo che si concentra nell’Asia orientale, dove le reti elettriche dipendono ancora in larga misura dai combustibili fossili e dove sono state adottate poche misure per l’approvvigionamento di energia rinnovabile. Con l’aumento della domanda, dobbiamo considerare che ad aumentare sono anche le emissioni».

Greenpeace esorta perciò Nvidia, AMD e i loro concorrenti a raggiungere il 100% di energia rinnovabile in tutte le loro catene di approvvigionamento entro il 2030.

«Raggiungere il 100% di energia rinnovabile lungo tutta la filiera dell’IA è fondamentale per prevenire un aumento significativo delle emissioni climatiche e ridurre decessi e malattie dovuti all’inquinamento atmosferico», aggiunge Wu. «Le aziende di hardware possono superare i colli di bottiglia delle energie rinnovabili investendo direttamente in capacità eolica e solare, firmando accordi di acquisto di energia e sfruttando la propria influenza per promuovere una maggiore quota di energia rinnovabile nella rete. Nvidia ha registrato un fatturato di quasi 40 miliardi di dollari per il quarto trimestre del 2024. Nvidia, AMD e altre aziende all’avanguardia nel boom dell’IA devono assumersi la responsabilità dell’impatto ambientale delle loro filiere».