
Grandi gabbie con dentro attiviste e attivisti di Greenpeace mascherati da mucche e maiali hanno accolto questa mattina all’ingresso della FAO a Roma i delegati che partecipano alla seconda Conferenza mondiale sulla trasformazione sostenibile dell’allevamento delle Nazioni Unite. Nel giorno di apertura dei lavori, l’associazione ambientalista ha ricreato un allevamento intensivo immerso in un denso fumo rosa, a simboleggiare le crescenti emissioni di metano derivanti dal settore zootecnico, ed esposto cartelli con le scritte: “Fattorie, non gabbie”, “Stop allevamenti intensivi” e “Cambiamo sistema alimentare, ora!”.
In occasione del summit, Greenpeace ha inoltre lanciato un appello firmato da quasi 100 organizzazioni ambientaliste, per lo sviluppo, l’alimentazione e l’agricoltura, tra cui anche Action Aid International, Oxfam International e l’Alleanza per la sovranità alimentare in Africa: un invito ai governi a ridurre urgentemente le emissioni agricole e a sostenere una giusta transizione da un’agricoltura di tipo industriale a un sistema alimentare basato sull’agroecologia, per contenere l’aumento della temperatura media globale entro 1,5°C e proteggere ecosistemi vitali come l’Amazzonia. La lettera arriva poche settimane prima della COP30 sul clima che riunirà i leader mondiali in Brasile, dove si prevede una presenza significativa dei lobbisti del settore agricolo.
«La zootecnia industriale sta inquinando l’acqua, impoverendo i terreni e accelerando il riscaldamento globale. Eppure, i giganti della carne e dei latticini continuano a promuovere soluzioni tecnologiche riduttive o false, bloccando la vera trasformazione di cui il nostro sistema agroalimentare ha urgente bisogno», dichiara Simona Savini della campagna Agricoltura di Greenpeace Italia. «Con la COP30 all’orizzonte, i leader mondiali devono opporsi agli interessi acquisiti delle multinazionali e ridurre le emissioni di gas serra accompagnando l’agricoltura, e in particolare la zootecnia, fuori da una produzione industriale dominata da poche grandi aziende, che sta distruggendo l’ambiente e le comunità rurali».
Secondo l’IPCC (il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite), i sistemi alimentari sono responsabili fino al 42% delle emissioni globali di gas serra. I firmatari della lettera ritengono perciò fondamentale “trasformare radicalmente il modo in cui produciamo, distribuiamo e consumiamo cibo” e invitano i governi a “incentivare pratiche agricole che ripristinino gli ecosistemi, sostengano la biodiversità e garantiscano l’accesso a un cibo sano e nutriente per tutti”. L’appello evidenzia inoltre il ruolo dannoso svolto dall’agricoltura industriale e in particolar modo del settore zootecnico, la principale causa delle emissioni di metano, un gas serra responsabile di circa un terzo del riscaldamento globale.
«C’è una forte spinta dell’agroindustria per intensificare e industrializzare gli allevamenti e l’agricoltura anche in Africa: ma adottare il sistema del Nord globale impatta sulla nostra salute e sull’ambiente, poiché favorisce deforestazione ed emissioni di gas serra, contamina i terreni e aumenta l’antibiotico resistenza attraverso l’uso routinario di farmaci veterinari», dichiara Million Belay, coordinatore generale dell’Alleanza per la Sovranità Alimentare in Africa. «Stiamo collaborando con i nostri decisori politici per promuovere sistemi di produzione basati sull’agroecologia che ci rendano più resilienti al cambiamento del clima e rafforzino le comunità pastorali e le aziende agricole a conduzione familiare».
«L’agricoltura industriale controllata dalle multinazionali è la seconda causa della crisi climatica e il principale motore della deforestazione. Affermare che abbiamo bisogno di agrochimici, allevamenti intensivi e accaparramento delle terre per nutrire il mondo non è che un falso mito. I metodi di coltivazione basati sull’agroecologia lavorano insieme alla natura anziché contro di essa e sono la scelta più ovvia per difendere il clima. Gli agricoltori necessitano di pianificazione sistematica, formazione e supporto», dichiara Teresa Anderson, responsabile globale per la giustizia climatica di ActionAid International. «La COP30 si terrà a Belém, in Amazzonia, il più grande ecosistema al mondo minacciato dalla deforestazione aggressiva legata all’agricoltura industriale: una giusta transizione del comparto sarebbe un risultato potente e appropriato».
I firmatari dell’appello sollevano particolare preoccupazione per i tentativi dei principali Paesi produttori ed esportatori di bestiame di riformulare gli obiettivi di riduzione del metano – i cosiddetti obiettivi di “no additional warming targets” – che consentirebbero loro di mantenere inalterati gli attuali livelli di emissioni e il numero di capi allevati. Questi obiettivi, destinati a essere adottati da Paesi come Nuova Zelanda e Irlanda, importanti esportatori di bestiame, sono stati peraltro molto criticati per avere ignorato le prove scientifiche, violato l’Accordo di Parigi e i principi di equità del trattato sul clima, che richiedono azioni più ambiziose da parte delle nazioni più ricche. La coalizione di organizzazioni firmatarie della lettera invita dunque scienziati, agricoltori e cittadini di tutto il mondo ad aderire al loro appello rivolto ai governi in vista dell’appuntamento cruciale della COP30 di Belém.
Greenpeace Italia ricorda infine che più di un anno fa, insieme ad altre associazioni, ha depositato in Parlamento la proposta di legge “Oltre gli allevamenti intensivi”, ancora in attesa di discussione: un testo che indica la strada per una trasformazione in chiave sostenibile del settore zootecnico italiano.