Le vere basi della sicurezza del Paese non sono gli armamenti, ma il welfare e l’economia sostenibile.

Se questi ultimi mesi ci hanno insegnato qualcosa, è che la sicurezza non si raggiunge con la potenza militare. Per generazioni ci siamo abituati all’idea che le minacce esterne debbano essere combattute con le armi, ma la crisi del Covid-19 ha dimostrato quanto siamo impreparati a contrastare i pericoli che realmente ci minacciano.

Per questo motivo la nostra Unità investigativa ha realizzato un’inchiesta che dimostra come a fronte di una spesa militare che ha raggiunto investimenti record, l’Italia abbia operato tagli drastici alla sanità pubblica e all’istruzione. Fondi che avrebbero potuto fare la differenza durante la pandemia se solo si fossero operate scelte economiche volte davvero alla tutela della persona e del Pianeta.

Caccia F-35 al posto di medici e ambulanze: quanto e come spende l’Italia

Documentation of the unloading of the cargo ship Endurance.

Per parlare “solo” della sanità pubblica i dati parlano chiaro: una fregata Fremm ci costa quanto lo stipendio per un anno di 10.662 medici, per un caccia F-35 si spende la stessa cifra che serve per allestire 3.244 posti letto in terapia intensiva, un sottomarino nucleare di classe Virginia costa come 9.180 ambulanze. Eppure nel 2019 l’Italia ha investito nel settore degli armamenti 24 miliardi di euro, l’1,4% del Pil, e il 2020 prevede una crescita delle spese di oltre 1,5 miliardi, con un fondo per gli acquisti di nuove armi ad un livello record di quasi 6 miliardi.

Tutto questo a fronte di un taglio alla sanità pubblica, tra il 2010 e il 2019, di 37 miliardi di euro.

I dati dimostrano inoltre come la spesa militare sia del tutto improduttiva: in un momento in cui l’Italia ha bisogno di una grande spinta economica per ripartire, questo è un settore che non frutta né soldi né lavoro. Dei 14 miliardi di fatturato dichiarati nel 2019 da Leonardo S.p.A., azienda italiana che produce armi per conto dell’Italia, solo 25 milioni sono entrati nelle casse dello Stato, che pure ne è l’azionista di maggioranza. Il resto finisce all’estero.

Al contrario, secondo la Global Commission on Adaptation (GCA), creata nel 2018 dall’ex segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon al fine di “prepararsi in modo proattivo, con urgenza, determinazione e lungimiranza agli effetti dirompenti del cambiamento climatico, se gli 1.8 trilioni di dollari della spesa militare globale del 2018 venissero investiti in cinque settori chiave per ridurre gli effetti dei cambiamenti climatici, in dieci anni si genererebbe un ritorno economico netto di 7.1 trilioni.

Un’occasione per costruire un Paese più sano, verde e sicuro

La ripartenza dopo il Covid può essere un’occasione storica. Tornare al vecchio modello economico e produttivo sarebbe un suicidio e la drammaticità della pandemia ce lo ha dimostrato. Per questo chiediamo al Governo italiano di non sprecarla commettendo gli errori del passato, di disinvestire dall’industria militare e convertire in sanità e servizi per le persone e il Pianeta. In questo momento storico il Governo si trova di fronte ad un bivio: ripristinare il vecchio sistema economico fondato su attività inquinanti e distruttive o ripartire facendo tutte quelle scelte per consegnare alle future generazioni un Paese più sicuro, verde e pacifico. Riteniamo queste ultime necessarie e impossibili da rimandare!