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Viene definita “neutrale rispetto al mercato” , ma la politica della Banca Centrale Europea (BCE) in realtà è tutt’altro che neutrale: la BCE acquista spesso obbligazioni societarie di aziende ad alta intensità di carbonio, cioè di aziende il cui impatto ambientale è serio e pericoloso per il clima. A rivelarlo è uno studio pubblicato oggi dalla New Economics Foundation (NEF), SOAS University of London, University of the West of England, University of the West of England, University of Greenwich e Greenpeace Central and Eastern Europe, in cui vengono anche presentati ben due scenari alternativi con cui la Banca potrebbe diminuire il proprio impatto climatico e sostenere la transizione energetica.

Gli acquisti “noir” della BCE

Lo studio “Decarbonising Is Easy: Beyond Market Neutrality in the ECB’s Corporate QE” , mostra come più della metà dei 241,6 miliardi di euro di obbligazioni societarie detenute dalla BCE alla fine di luglio 2020 siano state emesse da imprese che contribuiscono in modo significativo alle emissioni di CO2 dell’UE. In altre parole: da imprese che alimentano ulteriormente la crisi climatica.

L’analisi nasce dai commenti di Christine Lagarde che, la scorsa settimana, ha messo in discussione la neutralità del mercato alla luce della crisi climatica. Lo studio è stato è stato pubblicato alla vigilia di un incontro della stessa BCE con i rappresentanti della società civile – tra cui Greenpeace – per discutere la revisione delle politiche della banca, comprese le linee guida monetarie.

Corporate bond: chi c’è nella lista delle aziende i cui titoli vengono acquistati dalla BCE

La Banca Centrale Europea detiene obbligazioni di molti dei peggiori emettitori dell’Ue, tra cui:

  • Eni,
  • Total,
  • Shell,
  • OMV.

C’è da chiedersi se queste aziende, che sono dei grandi emettitori di CO2, giochino un ruolo importante rispetto all’occupazione e alla creazione di valore aggiunto.

Ebbene, resterete delusi: l’analisi indica infatti che il 62,7% delle obbligazioni detenute dalla BCE proviene da settori ad alta intensità di carbonio, e che questi contribuiscono solo per il 17,8% all’occupazione e per il 29,1% al Valore Aggiunto Lordo nell’area dell’euro.

La market neutrality non esiste

Non ci si può più nascondere dietro la cosiddetta “market neutrality”, bisogna iniziare a tenere conto dell’impatto delle nostre scelte sugli altri e sul Pianeta!

La Banca Centrale Europea deve smettere di acquistare le obbligazioni delle aziende che stanno distruggendo il clima, soprattutto in considerazione della loro lieve importanza in termini di occupazione e di valore economico per i cittadini europei. Il consiglio direttivo della banca deve rivedere la sua politica monetaria, smettere di acquistare obbligazioni dai grandi inquinatori e sostenere la transizione verso un mondo verde ed equo.

Tra i beneficiari degli acquisti della BCE c’è Eni

Tra i beneficiari della politica monetaria della BCE c’è Eni, azienda controllata dallo Stato italiano, nonché maggiore emettitore nazionale e tra i primi a livello mondiale. Nello studio si evidenzia come, nel 2019, Eni si sia resa complessivamente responsabile di 296 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 equivalente (scope 1-2-3). A fare peggio del Cane a sei zampe solamente Total e Shell, che però hanno un migliore indice di “intensità delle emissioni”, ossia il rapporto tra le emissioni e i ricavi. Nonostante le sue pessime performance ambientali, Eni ha ricevuto fondi dalla BCE per continuare ad alimentare le proprie attività inquinanti.

Purtroppo nei prossimi anni Eni progetta di aumentare la propria produzione di petrolio e gas, tra i principali responsabili dell’emergenza climatica, e dopo il 2025 l’azienda continuerà ad aumentare le estrazioni di gas, puntando su false soluzioni come lo stoccaggio di CO2 (il CCS) o la riforestazione per compensare le proprie emissioni. Parliamo insomma di un piano che è ben lontano da una vera decarbonizzazione e non è neppure in linea con gli obiettivi di Parigi: Eni non dovrebbe ricevere soldi pubblici per inquinare, né dalla BCE né dal governo italiano, in queste settimane impegnato nel decidere l’allocazione dei fondi del Recovery Fund.