Un gigante di 400 metri, largo quasi 60, che fa naufragio su una qualunque spiaggia, di scalpore ne fa. Se capita, com’è capitato alla Ever Given, in pieno Canale di Suez… allora la parola “scalpore” è davvero un eufemismo. Alla paura per gli impatti sull’economia mondiale (dipende da quanto dura il blocco) si somma forse qualcosa di più sottile: l’ennesimo segnale della fragilità di un sistema ingordo, che si sta mangiando il Pianeta come se ne avessimo un altro paio di scorta, ma che ha i piedi d’argilla. O di sabbia, come quella del deserto egiziano.

Le cause del disastro non sono ancora accertate: una dichiarazione dell’agente navale Gulf Agency Company (GAC) affermava che la nave aveva subito un “black out”. Dichiarazione poi cancellata e sostituita da una più “ufficiale” della Suez Canal Authority (SCA) che darebbe appunto come probabile causa il vento del deserto (il Khamsin: il vento dei 50 giorni) che avrebbe azzerato la visuale e causato lo scarroccio del gigante. Secondo alcune fonti, con folate di vento di 75 km/h.

È ben vero che le tempeste nel deserto sono improvvise (anche se il Khamsin dovrebbe piuttosto spirare tra aprile e giugno: ma si sa, il clima è cambiato), ma è da segnalare che l’incidente (avvenuto intorno alle ore 7:40 del mattino di martedì 23 marzo) è successo poco dopo che la Ever Given aveva imboccato l’estremità meridionale del canale, a poco più di 11 chilometri da Suez.

Considerato che la velocità usuale del traffico nel canale è di oltre 16 km/h, si deduce che la nave era nel canale da poco più di mezz’ora. Possibile che non ci sia stato modo di prevedere una tempesta così forte? Oppure (purtroppo, capita) si pensava di farla franca? Insomma, quella dichiarazione sul blackout qualche dubbio lo fa sorgere, anche perché di strani incidenti navali abbiamo già parlato di recente per la Wakashio, naufragata l’estate scorsa a Mauritius. Speriamo dunque che si faccia piena luce su un naufragio che rischia di avere conseguenze disastrose.

Perché quei 193 chilometri di canale sono una delle arterie che alimenta il nostro mondo. Nel 2020, si stima ci siano passate quasi 19 mila navi: più di cinquanta al giorno. Circa il 30 per cento del traffico planetario di container. Non sappiamo quanto a lungo durerà il blocco: dai due giorni ipotizzati all’inizio è possibile che si arrivi a una settimana. Poi la nave dovrà esser trainata, prima in una delle “aree di sosta” previste nel canale e dopo in un porto dove i container dovranno esser scaricati (ne può portare fino a 20 mila, per un carico che può arrivare a 224 mila tonnellate) e la nave ispezionata per capire i danni.

A proposito di danni, quelli di cui rischia di rispondere la proprietà della Ever Given – la giapponese Shoei Kisen KK – potrebbero essere fenomenali. Si ipotizza che la nave sia coperta da una assicurazione tra i 100 e 140 milioni di dollari, ma tra i danni alla SCA per il blocco del traffico nel canale, i costi del recupero della nave e quelli che potrebbero reclamare gli altri “mancati utenti” del canale, la cifra potrebbe essere assai superiore. Il blocco del canale genera danni stimati in 400 milioni di dollari l’ora. Siamo vicini a una decina di miliardi di dollari al giorno, anche perché l’alternativa al canale, la rotta del Capo di Buona Speranza, non solo è assai più rischiosa (per il meteo e, per certe rotte, anche per i pirati) ma allunga il tragitto tra Asia e Europa in media di oltre 4.600 km: almeno dodici giorni in più, e il tempo, il nostro tempo, è danaro.

Se il blocco dovesse prolungarsi, potrebbero esserci impatti sui prezzi di tanti prodotti e materie prime in un mercato già destabilizzato dalla pandemia. Potrebbe però essere l’occasione per riflettere sul fatto che di tanta di questa mercanzia potremmo (dovremmo) imparare a fare a meno. Anche perché un altro Pianeta a disposizione, non ce l’abbiamo.