Il ministro della “Finzione Ecologica” Roberto Cingolani, dopo aver attaccato gli ambientalisti e straparlato di nucleare, ora sfrutta l’impennata dei prezzi del gas per far passare il messaggio che “la transizione ecologica costa”, seguito a ruota da gran parte dei media.
Cingolani mente sapendo di mentire. Lo stesso vicepresidente dell’Unione Europea Frans Timmermans ha replicato dicendo che, se avessimo fatto il Green Deal cinque anni fa – puntando molto di più sulle rinnovabili – oggi non saremmo in questa situazione.
Il prezzo del gas fossile, infatti, oscilla di continuo, ma questa impennata – che riguarda l’intera Europa – è dovuta a diversi fattori. Anzitutto, in queste settimane c’è stata una forte ripresa dell’economia – un rimbalzo dopo la caduta dovuta alla pandemia di Covid-19 – accompagnata da una contestuale riduzione delle forniture dalla Russia, non si sa se per ragioni tecniche o se legate alla polemica sul gasdotto Nordstream, che dovrebbe aggirare l’Ucraina con evidenti mire politiche. È salito anche il prezzo della CO2, ma le ricadute di questo aumento sono marginali su quello che sta accadendo, dato che questa situazione dipende dal prezzo del gas in Europa.
Di certo c’è che il prezzo del gas, e dunque dell’elettricità prodotta con questo combustibile fossile, è schizzato alle stelle. Ma, va ricordato, il prezzo della componente energia influenza le bollette per circa il 50 per cento. In Italia le rinnovabili, dopo un breve momento di boom, sono state “frenate” proprio perché avevano invaso quote di mercato che erano coperte dalla produzione di elettricità da gas fossile, come si può vedere in questo grafico (Fonte: GSE).
Per raggiungere i nuovi obiettivi europei di riduzione delle emissioni di gas serra e di quota prodotta con le fonti rinnovabili, avremmo dovuto installare già da tempo 6-7 GW all’anno, dunque fare come nel biennio 2011-2012. Invece, da circa dieci anni, andiamo a rilento. Uno scenario energetico commissionato da Greenpeace Italia dimostra che è possibile portare il Paese a emissioni zero con uno piano di sviluppo sostenuto dalle fonti rinnovabili, mentre il consumo di gas può diminuire e progressivamente arrivare a zero nel 2040.
Ma questa prospettiva non è ovviamente gradita ad aziende come ENI, che continuano a fare della ricerca di nuovi giacimenti di petrolio e gas la loro attività principale (da poco hanno scoperto un giacimento in Costa d’Avorio), mentre gli scienziati avvertono che buona parte delle risorse fossili già note vanno lasciate dove sono: sottoterra.
Per ostacolare la necessaria transizione verso le rinnovabili, vediamo dunque all’opera una campagna di sbarramento che ha come obiettivo fermare tutto. L’“inazione” è la nuova forma di negazionismo climatico: lasciare le cose come stanno, e dunque gas fossile e petrolio al centro del sistema energetico, per bloccare ogni serio cambiamento. Tutto questo nonostante nel PNRR, almeno a parole, l’Italia dica di voler dare una spinta seria alle rinnovabili.
Per distrarre l’opinione pubblica, viene usato inoltre anche il tema nucleare. Prima la fusione (ancora in fase di ricerca e sviluppo, nessuna prospettiva commerciale prima del 2060), poi i mini-reattori (tecnologie vecchie e che verranno usate per ragioni militari, come i sottomarini nucleari) e poi nucleare di IV generazione (anch’esso allo studio). Una boutade velenosa, quella di Cingolani sul tema, che fa parte della campagna per distogliere l’attenzione e bloccare tutto.
Ci chiediamo dunque: il governo Draghi vuole davvero avviare la “transizione ecologica” o, come sembra, la vuole bloccare? Vuole contribuire a salvare il clima o vuole solo difendere gli interessi fossili di ENI?