Immagina uno studio scientifico che difenda l’uso del glifosato, uno degli erbicidi più usati al mondo. Immagina che quello studio affermi che il glifosato non comporti nessun rischio per la salute umana – né cancro, né effetti negativi sul sistema riproduttivo ed endocrino. Immagina che quello stesso studio sia stato preso come punto di riferimento da studi successivi, tanto da diventare “una pietra miliare nella valutazione della sicurezza del glifosato”.

Ecco.

Ora immagina che quello studio venga ritirato 25 anni dopo dalla stessa rivista che lo ha pubblicato, perché giudicato incompleto e poco trasparente – e perché sospettato di un clamoroso conflitto di interesse.

La cosa più incredibile è che non serve immaginare: è successo davvero.

Lo studio incriminato

Al centro del ciclone c’è lui, lo studio pubblicato nel 2000 dalla rivista scientifica Regulatory Toxicology and Pharmacology

Si intitola “Valutazione della sicurezza e valutazione del rischio del Roundup di erbicidi e del suo ingrediente attivo, glifosato, per gli esseri umani’ e gli autori sono tre: Gary Williams del New York Medical College, l’unico tuttora in vita, Robert Kroes dell’Università di Utrecht (Olanda) e Ian Munro, che lavorava per la società di consulenze canadese Cantox, oggi Intertek.

Lo studio è importante per diversi motivi. Si tratta di un testo molto citato nel dibattito pubblico sul glifosato, l’erbicida più usato al mondo.

Nel testo si fanno molte affermazioni di un certo peso: il glifosato, ad esempio, viene assolto in quanto non cancerogeno, né nocivo per l’apparato riproduttivo ed endocrino. Ma su quali basi? Diciamo che le fondamenta sono più che fragili. Ed è qui che entra in scena la Monsanto, l’azienda ora controllata dal gigante Bayer, che ha brevettato, prodotto e commercializzato il Roundup, un erbicida proprio a base di glifosato.

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Il ruolo della Monsanto, che produce e commercializza il glifosato

Il caporedattore della rivista che pubblicò lo studio nel 2000, Martin van Den Berg, ha spiegato che “I dipendenti della Monsanto potrebbero aver contribuito alla scrittura dell’articolo” senza essere citati. In altre parole, l’indipendenza degli autori e l’integrità accademica dello studio sono oggetto di numerosi dubbi.

Secondo la corrispondenza divulgata durante un contenzioso, gli autori potrebbero aver ricevuto un “risarcimento finanziario” da Monsanto per il loro lavoro su questo articolo. Non solo: alcuni documenti ed e-mail inviate da dipendenti della Monsanto “suggeriscono che gli autori dell’articolo non erano gli unici responsabili della scrittura del suo contenuto”. Monsanto, quindi, sembra aver contribuito alla stesura del lavoro senza essere menzionata come co-autore.

Un altro punto importante riguarda il fatto che gli autori basarono le loro conclusioni sulla non cancerogenicità del glifosato solo su studi interni condotti da Monsanto, ignorando diversi studi di carcinogenicità e tossicità cronica già pubblicati negli Anni ’90.

Intanto Gary M. Williams, l’unico dei tre autori della studio ancora in vita, non ha fornito alcuna spiegazione alle domande poste dall’Editor-in-Chief che ha deciso di ritirare la pubblicazione.

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Lo studio potrebbe aver avuto un grande peso sulle autorizzazioni Europee sul glifosato

Per capire l’importanza e la gravità di quanto è emerso, bisogna considerare l’enorme influenza che questo studio può aver avuto sulle valutazioni regolatorie dell’UE sull’uso del glifosato.

Parliamo infatti di uno studio diventato un riferimento per le autorità, anche europee, citato in dossier, consultazioni pubbliche e documenti tecnici come evidenza della non cancerogenicità del glifosato e della sicurezza del Roundup.

Non è una cosa da poco che l’Unione europea abbia rinnovato l’autorizzazione all’uso del glifosato nel 2017, e poi di nuovo nel 2023 (per i successivi dieci anni) basandosi su studi tra cui c’erano anche lavori che richiamavano questo articolo, ora dichiarato inaffidabile.

Resta quindi alta la preoccupazione sull’uso di questo erbicida, che la IARC di Lione già aveva classificato nel gruppo 2A, ovvero tra i probabili cancerogeni. Altri enti (ECHA, EFSA, OMS e FAO), pur fornendo valutazioni più rassicuranti, avevano raccomandato diverse misure precauzionali come la restrizione d’uso del glifosato in aree densamente popolate e la revisione dei limiti massimi ammessi per legge dei residui di glifosato negli alimenti.

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© Caio Paganotti

La pericolosa “semplificazione” europea sui pesticidi

Proprio in questi giorni la Commissione europea sta presentando il pacchetto “Omnibus VI” che riguarda da vicino l’uso dei pesticidi, i loro processi di autorizzazione e l’obbligo di etichettatura

I rischi, se l’UE proseguirà su questa strada, sono molteplici: il prolungamento dell’utilizzo di molti pesticidi senza necessità di una rivalutazione dei nuovi studi scientifici – o addirittura a dispetto di nuove prove di pericolosità – la riduzione di trasparenza sull’etichettatura, e la spinta allo sviluppo di nuovi pesticidi.

Una semplificazione che rischia di essere un regalo all’agroindustria, e un boccone avvelenato per la nostra salute e quella dell’ambiente.

Quanto dobbiamo ancora aspettare per mettere al bando pesticidi e gli erbicidi?

Quanto è emerso getta un cono d’ombra su uno studio che per 25 anni è stato considerato uno dei punti di riferimento in materia di glifosato, sollevando forti dubbi sull’integrità scientifica del testo e sull’obiettività accademica degli autori

Il coinvolgimento diretto della Monsanto – produttrice del noto erbicida a base di glifosato – mina ulteriormente la credibilità dello studio, visti gli innegabili interessi che legano l’azienda alla commercializzazione del prodotto.

Dal canto nostro, sono anni che denunciamo i problemi legati all’uso del glifosato, che non solo nel 2015 è stata dichiarato dallo IARC come “potenzialmente cancerogeno”, ma che è sospettato anche di causare danni al sistema nervoso e ormonale, oltre a essere potenzialmente collegato a malattie come il Parkinson. A questo si aggiungono i danni causati a suolo, api e biodiversità.

L’uso del glifosato può e deve essere messo al bando: coltivare senza pesticidi è possibile, come già dimostra l’agricoltura biologica. È tempo che l’Unione Europea riveda la sua posizione e si schieri contro l’uso del glifosato e di altre sostanze pericolose: noi di Greenpeace non smetteremo di fare pressione affinché questo avvenga!

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