Domani, 22 dicembre, la Commissione Agricoltura della Camera dovrà dare il proprio parere su 4 decreti relativi al Servizio fitosanitario nazionale che tentano di aprire la strada agli OGM nel nostro Paese e cancellare i diritti dei contadini sulle sementi.

I decreti sono stati proposti dal Ministro dell’Agricoltura, Teresa Bellanova con il pretesto dell’aggiornamento delle misure fitosanitarie. Ma è noto a tutti che, relativamente alla riorganizzazione del sistema sementiero nazionale, non c’è nessuna necessità di adeguamento a norme europee – dato che queste non sono state ancora modificate e si attende un nuovo quadro europeo.

Oltre ad introdurre “vecchi” e “nuovi” OGM, i decreti cancellano anche diritti fondamentali degli agricoltori come quelli dello scambio di sementi e della risemina  – diritti codificati dalla Legge 6 aprile 2004, n. 101 – “Ratifica ed esecuzione del Trattato internazionale sulle risorse fitogenetiche per l’alimentazione e l’agricoltura, con Appendici, adottato dalla trentunesima riunione della Conferenza della FAO a Roma il 3 novembre 2001“. Una decisione che verrebbe presa nella ricorrenza del secondo anniversario dell’adozione della Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Contadini e delle altre persone che lavorano nelle Aree Rurali. 

Quello che temiamo, insieme ad un ampio fronte di associazioni ambientaliste, tra l’altro escluse dal confronto pubblico, sono le conseguenze non solo per la biodiversità, ma anche per la produzione biologica del nostro Paese e il Made in Italy, che si pregia di essere non-OGM.

OGM: una minaccia per l’ambiente e l’economia

Mentre si dichiara che “l’obbiettivo è contrastare il rischio crescente di introduzione nel territorio dell’unione europea di organismi nocivi, tali da minacciare seriamente i nostri sistemi produttivi agricoli con ripercussioni negative sulla qualità e i prezzi delle nostre derrate alimentari”, cosa giusta e condivisibile, di fatto si vuole aprire la strada ad un pericolo ben più grande rappresentato dai nuovi OGM, che certamente non sono lo strumento utile a difendere tipicità, tradizione e territorialità delle nostre produzioni, ma anzi servono a prolungare l’esistenza di quell’agricoltura a monocoltura intensiva insostenibile e sempre più dipendente dalla chimica che di fatto minaccia sempre di più la biodiversità, l’ambiente, la salute e la sopravvivenza della tradizione agricola italiana.

I “nuovi” OGM – che la Corte di Giustizia europea, con una sentenza esecutiva del 2018, ha equiparato agli OGM “tradizionali” – sono ancora più insidiosi dei “vecchi”, in quanto con le nuove tecniche di ingegneria genetica si possono modificare di fatto la grande maggioranza di specie di interesse agrario quali le ortive come il pomodoro, i fruttiferi come il melo o la vite e quelle di interesse forestale.

La presenza dei nuovi OGM in pieno campo sarebbe devastante per la biodiversità e per l’economia del nostro Paese. La produzione biologica in Italia vale oltre 4,3 miliardi di euro. Mentre quella dei prodotti a marchio DOP, IGP, STG, tutti rigorosamente “OGM free”, oltre 16 miliardi di euro.

Quale sarebbe la sorte di queste produzioni?

Lo chiediamo anche alle Regioni, che hanno espresso parere favorevole ai decreti durante la seduta della Conferenza Stato-Regioni dello scorso 17 dicembre, nonostante aderiscano alla rete europea delle Regioni OGM-free.