Terribili violazioni dei diritti umani in mare, direttamente connesse all’industria del tonno.

È quanto abbiamo raccolto in cinque video-interviste realizzate all’inizio di quest’anno in un porto del Pacifico meridionale.

Drammatiche testimonianze di pescatori – alcuni tutt’ora in attività, altri che non esercitano più la professione – in cui vengono descritte violenze, condizioni di lavoro deplorabili, paghe inadeguate o addirittura inesistenti, privazioni di cibo e sonno, persino omicidi. Ecco una di queste video-interviste.

Non è una novità purtroppo. Le storie di violazioni di diritti umani e schiavitù in mare sono una costante pericolosa nell’industria del tonno. Tantissimi pescatori con cui abbiamo parlato nei porti asiatici e del Pacifico hanno raccontato di essere stati vittime di questo genere di abusi. L’industria del tonno nasconde infatti un lato oscuro: molti grandi marchi praticano una condotta omertosa per non affrontare quanto di drammatico si cela dietro la pesca del tonno che finisce in scatola.

Da anni Greenpeace lavora per migliorare la sostenibilità di questa pesca. È ormai sempre più chiaro che, insieme alle problematiche ambientali, le grandi aziende debbano impegnarsi per sviluppare anche soluzioni immediate agli abusi dei diritti umani.

Il divieto di trasbordi in alto mare e la presenza di osservatori a bordo delle navi che pescano tonno con palamiti potrebbero mitigare anche alcune preoccupazioni relative alla sostenibilità ambientale della pesca al tonno. La violazione dei diritti dei lavoratori in mare, infatti, spesso va di pari passo con la pesca illegale. Gli stessi operatori che hanno poco rispetto per le leggi sul lavoro spesso dimostrano anche scarsissimo riguardo per le regole di gestione della pesca, usando metodi che, oltre a contribuire pesantemente all’esaurimento degli stock di tonno a livello mondiale, uccidono un gran numero di squali, razze e tartarughe marine.


 Ma per fortuna – dall’Australia, alla Nuova Zelanda e all’Inghilterra – molte compagnie hanno iniziato a cambiare atteggiamento e si sono impegnate per far arrivare nelle loro scatolette solo tonno sostenibile. In Italia, nei prossimi mesi pubblicheremo la quarta edizione della “classifica Rompiscatole”, in cui valuteremo con più attenzione anche gli impegni che le aziende hanno intrapreso per garantire una pesca equa e lontana da ogni tipo di abuso.

Violazioni e schiavitù, che distruggono la vita dei lavoratori e delle loro famiglie, si aggiungono alla pesca eccessiva, che distrugge la vita negli oceani: due problemi che derivano dalle poche regole di un’industria ormai fuori controllo. Come consumatori, dovremmo tutti chiederci da dove viene, e come è stato pescato il tonno che compriamo.

Chiediamo alle aziende impegni precisi per evitare metodi di pesca che distruggono l’ecosistema marino e che impattano sulla vita di migliaia di pescatori. L’industria del tonno sta diventando sempre più distruttiva, sia per le persone che per gli oceani. Occorrono cambiamenti. Ora.