Sembra incredibile, ma proprio ora che la popolazione di tonno rosso nel Mediterraneo è tornata a crescere grazie ai limiti sulla pesca introdotti nel 2007, l’Italia è pronta a fare marcia indietro.

Nel nostro Paese si è riacceso l’interesse per il business degli allevamenti intensivi di tonno rosso. E qualcosa si sta già muovendo. A Battipaglia, ad ottobre 2024, l’azienda Tuna Sud ha ottenuto una concessione demaniale per la costruzione di un allevamento di tonni rossi a 7 km dalla costa. La cosa preoccupante? Che oggi in Italia nel settore dell’acquacoltura mancano trasparenza, regole e controlli.

Come è possibile? E, soprattutto, che cosa c’è davvero dietro al business degli allevamenti di pesce che fa gola a tanti? Scopriamolo.

Un business dagli impatti devastanti 

Gli allevamenti intensivi di tonno rosso rappresentano un settore ad alto valore economico, ma dietro questo modello produttivo si nascondono gravi problemi ambientali.

I tonni rossi, animali migratori per natura, non nascono in cattività: vengono catturati in mare aperto, rinchiusi in gabbie galleggianti e ingrassati fino al momento della macellazione, che avviene spesso con metodi brutali, come colpi di pistola alla testa.

Le gabbie concentrano grandi quantità di tonni in spazi ridotti, provocando un accumulo di scarti organici nei fondali marini come feci e mangimi. Con impatti ambientali notevoli, perché questo altera le caratteristiche chimiche e biologiche dei sedimenti, riduce l’ossigeno in acqua e mette a rischio la biodiversità locale.

Dal 2007, grazie a limiti di pesca più severi e alle campagne di tutela promosse da organizzazioni tra cui Greenpeace, nel Mediterraneo la popolazione di tonno rosso è tornata a crescere. Ma ora, a quanto pare, vogliamo rovinare tutto un’altra volta.

Pesci in un allevamento ittico intensivo intrappolati in un'enorme rete immersa nel mare

Il caso Battipaglia

Nel 2024, a Battipaglia (vicino Salerno), è stata autorizzata la costruzione di un allevamento intensivo di tonno rosso da parte della società Tuna Sud, che risulta senza dipendenti né fatturato.

L’impianto sorgerà a 7 km dalla costa, in un tratto di mare già soggetto a pressioni ambientali: in quella zona, la balneazione è spesso vietata per l’eccessiva presenza di enterococchi intestinali ed Escherichia coli, causata dagli scarichi del fiume Tusciano trattati in modo inefficiente.

La concessione prevede sei gabbie in uno specchio d’acqua di 48.900 mq — appena sotto la soglia dei 50.000 mq che renderebbe obbligatoria la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA).

Mancano però (o non sono stati condivisi) dettagli pubblici sul progetto per quanto riguarda il piano di gestione e la densità prevista all’interno delle gabbie. Una carenza di trasparenza che solleva forti preoccupazioni tra gli abitanti, soprattutto perché l’impianto potrebbe compromettere anche la vicina Lido Lago, che nei momenti di massima diffusione dell’Escherichia coli rimane spesso una delle poche aree balneabili della zona.

E non è tutto. Questa situazione opaca si inserisce in un contesto altrettanto fumoso: il quadro generale degli allevamenti di tonno rosso in Italia, su cui è impossibile avere dati e informazioni chiare.

Il Ministero dei pesci fantasma

Secondo il database ufficiale dell’ICCAT (International Commission for the Conservation of Atlantic Tunas) in Italia oggi esistono tredici allevamenti di tonno rosso. Ma per appena tre di questi sono disponibili le coordinate geografiche, e solo sei risultano avere una capacità di produzione in tonnellate superiore allo zero. Sembrerebbe quindi che solo pochi impianti siano attivi (o potenzialmente funzionanti). 

Quattro allevamenti — quelli con la maggiore capacità in tonnellate, pari all’80% del totale attribuito agli allevamenti italiani dalla lista ICCAT (7525 tonnellate su 9370) — sarebbero di proprietà della Direzione generale della Pesca del Ministero dell’Agricoltura. Tuttavia, per questi impianti mancano completamente le coordinate e qualsiasi riferimento a gestori o attività operative.

Una cosa, però, è interessante. Se i quattro impianti fossero attivi e a pieno regime, non basterebbe tutto il tonno rosso pescato da imbarcazioni italiane a riempirli. Per mantenere le strutture in funzione, il Ministero dovrebbe quindi importare tonni dall’estero.

Alla nostra richiesta di chiarimenti, il Ministero ha risposto che gli impianti non sono attualmente in funzione e che, proprio per questo motivo, non sono stati indicati dettagli geografici né risultano società coinvolte nella loro gestione o manutenzione. Questo solleva interrogativi legittimi: si tratta di impianti realmente esistenti ma vuoti, oppure sono “allevamenti fantasma”, mantenuti sulla carta per assicurarsi le quote ICCAT assegnate in passato e attribuirle in seguito a impianti di nuova costruzione?

Quel che è certo è che oggi, in Italia, è impossibile elencare e localizzare con sicurezza gli allevamenti di tonno rosso attivi né sapere quante tonnellate di tonno producano. I dati risultano lacunosi e imprecisi.

Pesci in un allevamento ittico intensivo intrappolati in un'enorme rete immersa nel mare

Un settore senza regole chiare né controlli efficaci

Un altro nodo cruciale è l’assenza di regole ambientali precise. Il decreto che avrebbe dovuto fissare i parametri di sostenibilità per gli allevamenti ittici si è arenato nel 2006, lasciando il settore dell’acquacoltura in un vuoto normativo.

L’assenza di regole e certezze per tutta la filiera dell’acquacoltura e della piscicoltura in Italia facilita frodi e speculazioni: in Puglia, ad esempio, di recente un gruppo ha ottenuto 1,4 milioni di euro per la costruzione di impianti mai realizzati.

In assenza di trasparenza, monitoraggi e standard ambientali, l’espansione dell’acquacoltura non solo rischia di produrre danni irreversibili agli ecosistemi marini, ma anche di arricchire società senza scrupoli, a danno degli imprenditori che le regole invece le rispettano. 

Davvero ci servono nuovi allevamenti di tonno rosso?

La ripresa della popolazione di tonno rosso nel Mediterraneo è una storia di successo ottenuta con fatica e collaborazione internazionale. Ma oggi rischiamo di vanificare quei progressi a favore di un modello produttivo che arricchisce pochi, danneggia molti e aggrava lo stato già critico dei nostri mari.

Allevamenti intensivi di pesce come quello previsto a Battipaglia rappresentano un salto nel buio in termini di impatto ambientale, trasparenza e sostenibilità. In un contesto in cui mancano regole certe, dati aggiornati e controlli efficaci, continuare a promuovere il settore – a queste condizioni – non è una strategia lungimirante, ma una minaccia per la salute dei nostri mari e dei suoi abitanti.

La domanda che dobbiamo porci non è come far crescere gli allevamenti intensivi di pesce, quanto piuttosto: possiamo davvero permettercelo? La risposta, per chi tiene all’ambiente, è no.

Stop  allevamenti di pesce!

Chiedi al governo italiano di fermare l’espansione di queste fabbriche sottomarine