
Carcasse di suinetti abbandonate, ferite trascurate, infestazioni di ratti, ambienti sporchi e angusti, senza luce naturale.
Sono queste le immagini che compongono un quadro mostruoso: quelle delle pessime condizioni igieniche e sanitarie di un allevamento intensivo di maiali a Roncoferraro (Mantova, Lombardia). Si tratta di un allevamento dell’azienda La Pellegrina, di proprietà del Gruppo Veronesi: quest’ultimo non è un piccola azienda sconosciuta, ma un vero e proprio colosso del settore proprietario di marchi molto noti come AIA, Negroni e Wudy, con ricavi annui miliardari.
Una finestra terribile, questa, che svela una verità troppo comune negli allevamenti intensivi di maiali: fabbriche di carne che raccontano una realtà che si discosta in modo netto dalla narrazione rassicurante dell’eccellenza del Made in Italy, e che nasconde un mondo fatto di atrocità, sporcizia e sofferenza animale.
Stop allevamenti intensivi!
Aiutaci a fermare l’espansione di queste fabbriche di carne
Immagini shock mostrano cosa succede troppo spesso negli allevamenti intensivi di maiali

Ratti nelle gabbie
Le condizioni igienico-sanitarie dell’allevamento intensivo di maiali di Roncoferraro risultano preoccupanti fin dai primi scatti che abbiamo esaminato. Dalle immagini e dai video che abbiamo potuto verificare emerge un’estesa infestazione di ratti: suinetti e roditori convivono negli stessi spazi, ma anche le scrofe, immobili nel loro box di maternità, non sono risparmiate. In particolare, in una sezione di gestazione in gabbia e nelle zone dedicate alla pre-maternità, i roditori sono liberi di scorrazzare e di entrare a stretto contatto con gli animali.
Ma c’è un dettaglio che più di tutto ci colpisce e ci fa inorridire: ci sono immagini di carcasse di suinetti morse o mangiate dai ratti radunati in un punto dove una o più scrofe hanno abortito dei piccoli.
La presenza di ratti non è un problema trascurabile. Un numero così elevato di roditori significa esporre a gravi rischi sia gli animali allevati che il personale che lavora nell’allevamento. I roditori, le loro deiezioni e anche semplicemente la presenza delle loro carcasse equivale alla possibilità di trasmettere malattie come salmonellosi, leptospirosi e toxoplasmosi.
Significa anche un aumento della contaminazione batterica, mangimi potenzialmente contaminati, cavi e tubazioni danneggiati dai rosicchiamenti.
Senza contare che i maiali stessi potrebbero ingerire le carcasse dei roditori, con una serie di problemi a cascata: possibili trasmissioni di infezioni e addirittura rischi di avvelenamento da rodenticida, utilizzato negli allevamenti per tenere sotto controllo le infestazioni.
Basta allevamenti intensivi!

Ferite trascurate, prolassi uterini e lacerazioni
Alcuni dei maiali presenti in questo allevamento intensivo sono in pessime condizioni.
Le scrofe hanno il corpo segnato da lacerazioni probabilmente dovute alle gabbie di contenimento del reparto maternità, nelle quali è praticamente impossibile per loro muoversi.
Dalle immagini si possono vedere ferite in stato avanzato: sono impressionanti le foto che mostrano scrofe con prolassi uterini apparentemente non curati.
L’estroflessione parziale o totale dell’utero dopo il parto è piuttosto frequente nei suini che vivono negli allevamenti. Colpisce soprattutto le scrofe più anziane, che partoriscono molte volte nel corso della vita e che hanno suinetti di grandi dimensioni. Si tratta però di situazioni pericolose, perché insieme al prolasso uterino può verificarsi un’emorragia interna spesso difficile da trattare e che può causare anche la morte dell’animale.
Un altro dettaglio terribile emerge dalle immagini: i resti di code di suinetti tagliate, probabilmente risultato di mutilazioni che negli allevamenti intensivi di maiali vengono praticate spesso per impedire ai suini di sfogare lo stress gli uni sugli altri – in particolare morsicando le code dei proprio vicini.
Nell’allevamento sono presenti anche carcasse di suinetti morti, alcune delle quali appaiono abbandonate da più di 24 ore.
Stop allevamenti intensivi!

Somministrazione di ormoni
Da filmati e fotografie emergono altri motivi di allarme. Si vedono immagini di farmaci ormonali (a base di ossitocina) che vengono usati per facilitare il parto e produrre più latte, ma anche degli anti-infiammatori (ketoprofene), usati per combattere in modo aspecifico le più diverse patologie. Non si tratta di farmaci vietati, ma la loro presenza è un chiaro segnale: come spesso avviene negli allevamenti intensivi, le malattie sono all’ordine del giorno.
Ci sono poi alcune carenze dal punto di vista dell’applicazione dei protocolli, come dei guanti in lattice abbandonati in un box maternità con cui gli animali potrebbe entrare in contatto. Un ulteriore tassello che mostra un quadro di trascuratezza.

Perdite di liquami e rischio di inquinamento
I problemi negli allevamenti intensivi di maiali non si limitano solo all’interno, e questo allevamento non fa eccezione. Le riprese dall’alto rivelano una perdita di liquami dal sistema di smaltimento dei rifiuti composti probabilmente da feci e urine dei maiali – che vengono riversati sul terreno aziendale. Significa che c’è il rischio concreto di inquinamento per i terreni e per i corpi idrici circostanti, come fiumi e falde acquifere.
Il tutto avviene a pochi chilometri da diverse aree importanti per la biodiversità, come scopriamo dallo stesso bilancio di sostenibilità redatto dal Gruppo Veronesi: lo stabilimento di Roncoferraro si trova infatti a poca distanza da ben 5 aree tutelate. La più vicina si trova a 2 km dall’allevamento: è la Zona Protezione Speciale (ZPS), nonché Zona Speciale di Conservazione (ZSC), di Vallazza, che copre un’area in cui il fiume Mincio crea un’ampia zona umida.
Firma la petizione per fermare queste fabbriche di carne!

Gli allevamenti intensivi di maiali sono parte di un sistema malato che va cambiato
L’allevamento intensivo di maiali La Pellegrina è simbolo di un problema che non è possibile ignorare, specialmente perché non si tratta di un piccolo allevamento con pochi mezzi, ma di uno dei siti produttivi del Gruppo Veronesi che, con le sue aziende, detiene i primi due posti per ricavi annui miliardari in Italia.
La denuncia che ci è stata inviata, e che abbiamo potuto verificare in maniera indipendente confrontandoci anche con esperti legali e del settore veterinario, non è purtroppo un caso isolato. È parte integrante di un sistema insostenibile – quello degli allevamenti intensivi – basato su un meccanismo di iper-produzione che serve a sostenere consumi di carne eccessivi, arricchisce i grandi marchi, schiaccia le piccole aziende, inquina i territori di produzione e mette a rischio la salute di chi li abita e la sicurezza alimentare di tutte e tutti noi.

La soluzione c’è, e noi di Greenpeace l’abbiamo proposta insieme a una coalizione di associazioni: è la proposta di legge “Oltre gli allevamenti intensivi”, che traccia la strada per un cambiamento che trasformi davvero il sistema degli allevamenti intensivi italiani. Se questa legge diventerà effettiva, potremo fermare l’espansione degli allevamenti intensivi, ridurre il numero di animali allevati in Italia e avviare una transizione ecologica degli allevamenti intensivi esistenti in un modello che lavori con la natura, non contro di essa, dal ridotto impatto ambientale, e che metta al centro le piccole aziende agricole.
La nostra proposta di legge è ancora in attesa di essere discussa: unisci la tua voce alla nostra affinché il Parlamento si attivi per cambiare questo sistema insostenibile!
Stop allevamenti intensivi
Sostieni la nostra proposta di legge e chiedi con noi al Governo e al Parlamento italiano di fermare l’espansione di queste fabbriche di carne.


