La visita di Greta Thunberg qualche settimana fa è stata accolta da un tripudio di complimenti, applausi e selfie da parte delle massime Autorità del Paese. Che però, poco dopo, hanno pensato bene di unirsi a Paesi come Polonia e Repubblica Ceca e non appoggiare una proposta francese un minimo ambiziosa, che vuole un’Europa a emissioni zero al 2050. Una proposta che, peraltro, ha già ottenuto il supporto di vari Paesi tra cui Spagna, Belgio, Olanda ed altri.

Nel frattempo il governo italiano continua a ritardare lo sviluppo delle rinnovabili, quasi bloccando la produzione elettrica (soprattutto da da fotovoltaico ed eolico) fino al 2025, anno in cui verranno finalmente chiuse le centrali a carbone. E intanto si punta tutto sul gas, un combustibile inquinante che è una delle cause dell’emergenza climatica che vediamo ormai sempre più lampante anche nel nostro Paese.

Stop Offshore Drilling Action in Adriatic Sea. © Francesco Alesi

Greenpeace activists demonstrate on the Agostino B offshore gas platform to invite Italian citizens to participate in the referendum that will be held on the 17th of April. The activists hang two huge banners which read: “Stop Trivelle (Stop Drilling)” and “17 Aprile Vota Sì (17 April, Vote Yes)” The vote is about confirming or opposing the government energy strategy, heavily focused on fossil fuel exploitation.

Continuiamo a chiedere al Presidente Conte di aderire a questa proposta e di mantenere le promesse di una decarbonizzazione rapida del nostro Paese, in linea con le indicazioni della scienza.

Purtroppo però sembra che si stia puntando decisamente su altre rotte, volendo far diventare questo Paese una camera a gas. Gas naturale, ovviamente, spacciato con iniziative multiple di greenwashing più o meno istituzionale come il toccasana per il clima. Ma la realtà è che il gas è parte del problema, non della soluzione.

Il can can sulla promozione del gas naturale in Italia ha molti obiettivi, a cominciare da quello di tenere in vita la mobilità con motore termico (passando appunto da benzina o gasolio al gas), di aiutare l’industria di stato Eni, e anche di far vivacchiare il declinante impero delle trivelle. E qui arriviamo al punto.

Di tutti i progetti di trivellazione di cui abbiamo sentito parlare, di fatto ce n’è uno che ha una strategia prioritaria. Si chiama Offshore Ibleo e in pratica vuole ampliare i campi estrattivi attualmente presenti nel Golfo di Gela. Il progetto è già autorizzato ed ha persino avuto una positiva Valutazione di Impatto Ambientale (VIA). Greenpeace, i sindaci del posto, altre associazioni e pure i pescatori hanno fatto ricorso al TAR, ma è stato un tentativo vano. Certo, quando ENI è andata a fare le sue prospezioni per la posa dei tubi e si è scatenata la rivolta dei pescatori locali (che secondo i documenti ufficiali – e secondo il TAR – non esistevano) qualche problema c’è stato: il Prefetto ha dovuto convocare una riunione d’urgenza (con le “parti” in causa) per far tornare nei binari civili l’ordine pubblico.

Fridays for Future Student Demonstration in Vienna. © Mitja  Kobal / Greenpeace

Students in Vienna went on the street to strike, demonstrate and demand politicians to act urgently in order to prevent further global warming and climate change. It is a part of the School strike for climate movement, also known as Fridays for Future. Strikes took place in more than 40 countries around the globe.

Una delle cose che colpisce di questi progetti (di tutti, non solo di Offshore Ibleo) è che la VIA positiva viene concessa anche se i rischi che si valutano sono ridicoli: il massimo della disgrazia che può capitare – secondo loro – è che cadano in mare venti metri cubi di gasolio. Ovvio che sindaci, cittadini e pescatori del litorale che va da Gela ad Agrigento hanno in mente qualcosa di un pelino più pericoloso. E infatti, grazie anche alle nostre proteste, la VIA prescrive che prima di iniziare i lavori ENI deve presentare gli scenari legati ad eventuali incidenti (a piattaforme, tubazioni eccetera), evidenziare quali potrebbero essere le conseguente e ovviamente chiarire cosa si può fare per prevenire.

Quel che non torna è che dopo cinque anni, di questi scenari non c’è traccia (materiale top secret?) ma ENI è andata comunque avanti e ha già fatto l’appalto dei lavori (tre milioni e mezzo di euro, non noccioline) che dovrebbero avere come base operativa Porto Empedocle e potrebbero partire tra qualche mese.

Quindi: qualcuno ha deciso che il mare della Sicilia è sacrificabile. Noi non intendiamo cedere e il prossimo 30 maggio saremo a Licata per contarci. Per capire chi fa solo chiacchiere e chi sta dalla parte del clima e del mare. Non con i selfie, ma con i fatti.

Proteggi gli Oceani

Cambiamenti climatici, pesca eccessiva, estrazioni minerarie, trivellazioni, plastica: i nostri oceani subiscono di tutto per colpa dell’avidità umana. Spesso sono proprio le zone d’Alto Mare, al di fuori della giurisdizione degli Stati costieri, a diventare prede degli interessi di pochi Stati ricchi e potenti o di aziende spregiudicate. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore? Non possiamo accettarlo: per difendere il fragile e meraviglioso ecosistema marino, serve creare una rete di Santuari d’Alto mare su scala planetaria.

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