During the First Meeting of the Indigenous Peoples from the State of Rondônia, in the Karipuna Indigenous Land

Secondo l’Istituto brasiliano di ricerche spaziali, tra agosto 2019 e marzo 2020 la deforestazione nell’Amazzonia brasiliana è quasi raddoppiata rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Numerosi scienziati e organizzazioni ambientaliste collegano questo pericoloso peggioramento alla retorica anti-ambientalista del presidente brasiliano Jair Bolsonaro, che si conferma anche durante la pandemia di Covid-19. Da un lato, gli enti preposti alla protezione ambientale, già indeboliti dai tagli di budget e di personale voluti dal governo, si trovano ora con un numero estremamente esiguo di dipendenti da mandare sul campo. Dall’altro, il Congresso brasiliano sta discutendo la possibilità di approvare una legge che andrebbe a “condonare” la deforestazione e l’accaparramento di terre avvenute prima del 2018: un segnale incoraggiante per chi saccheggia illegalmente la foresta.

Così, mentre la distruzione della foresta prosegue, i Popoli Indigeni si trovano ad affrontare una doppia minaccia: l’avanzata indisturbata della mafia del legno, dell’industria estrattiva e degli accaparratori di terre, e il dilagare del Covid-19 che, come altre malattie portate dall’esterno, è particolarmente letale per gli indigeni e rischia di causare un nuovo genocidio. A questo proposito, il fotoreporter brasiliano Sebastião Salgado ha creato una petizione che è già stata sottoscritta da personaggi di fama internazionale come Madonna, Brad Pitt e Paul McCartney.

Secondo i dati raccolti dall’Articolazione dei Popoli Indigeni dell’Amazzonia brasiliana (APIB) al 5 maggio i Popoli colpiti dalla pandemia sono 26, gli indigeni risultati positivi 107 e quelli deceduti 18. In una lettera inviata ieri a Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’OMS, numerosi leader indigeni hanno chiesto supporto per ricevere dispositivi di protezione individuale, che al momento non sono stati resi disponibili per gli operatori sanitari attivi nei villaggi indigeni e nelle aree forestali remote.

La deforestazione avanza impunemente

Nello stato di Rondônia, epicentro degli incendi dello scorso anno, gli indigeni Karipuna hanno denunciato alla Procura federale locale la distruzione di ampie porzioni di foresta, che sta avvenendo a pochi chilometri dal loro villaggio per mano della mafia del legno e di agricoltori locali che vogliono continuare ad espandere gli allevamenti di bestiame. Negli anni ’70, durante la dittatura militare, venne incoraggiata la colonizzazione del Rondônia e di altri stati amazzonici: i coloni portarono numerose malattie contagiose e i Karipuna vennero sterminati, solo otto riuscirono a salvarsi. Oggi sono 58 e la loro sopravvivenza è di nuovo gravemente minacciata.

Dall’altra parte dell’Amazzonia brasiliana, nello stato di Maranhão, Antônio Filho Guajajara è stato attaccato e quasi ucciso nella terra indigena del suo Popolo, a pochi giorni di distanza dall’omicidio di Zezico Guajajara, il quinto indigeno Guajajara ucciso da novembre 2019. Zezico aveva solo 23 anni, era un insegnante e portavoce del Popolo Awà-Guaja, che vive in isolamento volontario.

Il futuro dei Popoli Indigeni che hanno scelto di non entrare in contatto con la società occidentale è, ora più che mai, in gravissimo pericolo. La Terra Indigena Ituna Itatá, nello stato del Parà, ospita numerosi Popoli non contattati: gli esperti locali hanno espresso grande preoccupazione per le continue invasioni che si stanno verificando nonostante il lockdown per il Covid-19 sia già entrato in vigore. Inoltre, alla luce dell’aumento del prezzo dell’oro causato dall’impatto della pandemia sul mercato globale e vista la propensione del governo Bolsonaro ad assecondare le esigenze del settore minerario, nel Parà si sta assistendo anche ad una nuova corsa all’oro, con gravi conseguenze per l’Amazzonia e chi la abita.

Per far fronte alla gravità della situazione senza rinunciare a portare avanti la campagna “Sangue indigeno non una goccia in più”, i Popoli Indigeni del Brasile hanno deciso di tenere in forma virtuale la sedicesima edizione dell’Accampamento Terra Libera che si è svolto la settimana scorsa.

Il punto di non ritorno climatico

L‘Amazzonia si è già ridotta del 15 per cento rispetto alla sua estensione degli anni ’70, quando copriva oltre 6 milioni di chilometri quadrati. In Brasile, il Paese che ospita più della metà della foresta amazzonica, oltre il 19 per cento è scomparso. Dopo un drastico rallentamento della deforestazione avvenuto intorno al 2004, la situazione è tornata progressivamente a peggiorare. Tanto che lo scorso novembre la rivista scientifica Nature ha pubblicato l’articolo “Climate tipping points. Too risky to bet against”, in cui gli scienziati avvertono che l’Amazzonia sta arrivando ad un punto di non ritorno climatico che potrebbe trasformare grandi regioni di questa foresta tropicale in un ecosistema più simile a quello di una savana (sebbene con molta meno biodiversità).

Nel 2019 la deforestazione in Brasile è aumentata di circa il 30 per cento rispetto all’anno precedente e quasi diecimila chilometri quadrati di foresta (un’area equivalente a 1,4 milioni di campi da calcio) sono andati distrutti: il dato più preoccupante dell’ultimo decennio.

Non mangiarti le foreste!

L’80% della deforestazione del mondo è causata dalla produzione intensiva di materie prime, soprattutto agricole: praticamente, cibo che divora le foreste. Soia, olio di palma, cacao, carne, avocado, sono i responsabili di una distruzione senza precedenti. Stiamo decimando le foreste per far posto all’agricoltura massiva e industriale. Un milione di specie è a rischio di estinzione. Se vogliamo salvare il clima e la biodiversità, dobbiamo salvare le foreste.

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