Oggi è il Global Climate Strike, la giornata di mobilitazione mondiale per il clima organizzata dai Fridays For Future per chiedere azioni concrete e immediate contro la crisi climatica. In Italia e nel mondo sono in corso manifestazioni, eventi virtuali, webinar e social bombing. Ma non solo.

La protesta è arrivata anche sott’acqua, con il primo sciopero per il clima underwater. La giovane scienziata e attivista dei Fridays For Future Mauritius, Shaama Sandooyea, attualmente impegnata in una spedizione di ricerca a bordo dell’Arctic Sunrise di Greenpeace, ha aderito alla mobilitazione nel cuore dell’Oceano Indiano, immergendosi con un cartello con il messaggio “Youth Strike for Climate”.

L’attiivista per il clima Shaama Sandooyea, parte della spedizione di Greenpeace nell’Oceano Indiano, nel primo sciopero subacqueo per il clima / Greenpeace

L’azione si è svolta al Saya de Malha Bank, a 735 km dalla costa delle Seychelles, in un luogo chiave per la regolazione del clima: qui ha sede una delle più vaste praterie di piante acquatiche al mondo, responsabili dell’assorbimento di parte della CO2 in atmosfera.

“Non possiamo continuare a temporeggiare sulla crisi climatica” è il messaggio che ha lanciato Shaama Sandooyea da questa bellissima e remota area dell’Oceano Indiano, unendosi ad attiviste e attivisti di tutto il mondo. “Abbiamo bisogno di un’azione per il clima e ne abbiamo bisogno ora. È ora che i governi di tutto il mondo prendano sul serio la crisi climatica e agiscano da subito per la riduzione delle emissioni e la protezione dei nostri oceani».

Spedizione di Greenpeace nell’Oceano Indiano

Il ruolo degli oceani nella lotta ai cambiamenti climatici

Oceani sani immagazzinano enormi quantità di anidride carbonica e calore e svolgono un ruolo chiave nella mitigazione dei cambiamenti climatici. Per questo l’UNESCO sottolinea come la tutela di ecosistemi chiave quali le praterie sia fondamentale per le future generazioni. Ma l’aumento di gas serra e la conseguente crisi climatica stanno causando modifiche sempre più evidenti nei mari del Pianeta, in termini di innalzamento delle temperature, acidificazione e riduzione dell’ossigeno disciolto, con conseguenze sulla biodiversità marina e sui fenomeni meteorologici che avvengono in atmosfera. Con un circolo vizioso che accelera e alimenta l’emergenza climatica in corso.

A novembre 2019, abbiamo avviato all’Isola d’Elba il progetto “Mare caldo”, in partnership con il DISTAV dell’Università di Genova e Elbatech proprio con l’obiettivo di studiare gli impatti che i cambiamenti climatici stanno avendo anche sui nostri mari. Dall’iniziativa è nata una rete italiana di stazioni per il monitoraggio delle temperature marine che attualmente coinvolge in modo attivo cinque Aree Marine Protette: il Plemmirio in Sicilia, Capo Carbonara – Villasimius e Tavolara – e Punta Coda Cavallo in Sardegna, Portofino in Liguria e Miramare nel nord dell’Adriatico.

Operazione Mare Caldo/ Greenpeace

I dati che abbiamo raccolto fino ad oggi confermano che i mari stanno cambiando a causa dell’aumento delle temperature e i cambiamenti climatici stanno aggravando la crisi di un ecosistema già sottopressione a causa di inquinamento e attività umane.

Dobbiamo investire nella tutela del mare!

Se vogliamo proteggere il clima del Pianeta dobbiamo iniziare ad investire seriamente nella tutela dei nostri mari. Possiamo iniziare dal Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), in questo momento in fase di stesura. E’ necessario che questo piano preveda misure specifiche per la salvaguardia del mare, investimenti mirati per aumentare la resilienza degli ecosistemi più sensibili e per allargare la rete delle Aree Marine Protette, in linea con l’impegno assunto dal nostro Paese di proteggere il 30 per cento dei nostri mari entro il 2030.

Alle parole devono seguire azioni concrete: tutelare i nostri mari vuol dire sostenere le economie che da essi dipendono e dare un contributo fondamentale alla lotta ai cambiamenti climatici!

Proteggi gli Oceani

Cambiamenti climatici, pesca eccessiva, estrazioni minerarie, trivellazioni, plastica: i nostri oceani subiscono di tutto per colpa dell’avidità umana. Spesso sono proprio le zone d’Alto Mare, al di fuori della giurisdizione degli Stati costieri, a diventare prede degli interessi di pochi Stati ricchi e potenti o di aziende spregiudicate. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore? Non possiamo accettarlo: per difendere il fragile e meraviglioso ecosistema marino, serve creare una rete di Santuari d’Alto mare su scala planetaria.

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