La liberazione di Enea, la tartaruga marina curata presso il Centro di recupero dell’Area marina protetta di Torre Guaceto, in Puglia, ha segnato la conclusione della nostra spedizione di ricerca “Difendiamo il Mare”.

La maggior parte degli esemplari che ogni anno vengono recuperati in mare allo stremo e sottratti a morte certa hanno ingerito rifiuti di plastica. D’altronde, navigando in Adriatico con la barca Bamboo – messa a disposizione dalla Fondazione Exodus di Don Mazzi – anche quest’anno abbiamo visto tanta plastica galleggiare a pelo d’acqua. Plastica che le tartarughe possono scambiare per cibo.

Per tre settimane abbiamo solcato l’Adriatico centro meridionale, da Ancona fino a Brindisi, passando per le Isole Tremiti, o Diomedee, come sono chiamate per via delle berte. Le isole costituiscono uno dei siti di nidificazione più importanti nel Mediterraneo per la berta maggiore, un veleggiatore straordinario che ha accompagnato spesso la navigazione della Bamboo. Come hanno fatto a volte i tursiopi e qualche branco di tonni. Incredibile constatare come, per la dinamica delle correnti, la plastica si concentri persino in questo paradiso naturale!

Ma non ci siamo limitati alla plastica che galleggia in superficie e finisce troppo spesso sulle nostre spiagge: abbiamo studiato la presenza di microplastiche lungo la colonna d’acqua e misurato l’andamento delle temperature fino in profondità, verificando cosa succede oltre il pelo dell’acqua, oltre quello che i nostri occhi possono vedere. Con i nostri sub abbiamo documentato la bellezza e la fragilità degli organismi che popolano i fondali: anche in questi mari gli impatti del cambiamento climatico rischiano di farci perdere tesori inestimabili. Cambiamento climatico a cui la produzione di plastica è strettamente interconnessa, dato che il 99% di questo materiale viene prodotto a partire dal petrolio e dal gas fossile, generando impatti negativi non solo sull’ecosistema marino, ma anche sulle comunità che vivono vicino agli impianti di produzione.

Il mare soffre, è evidente. E non fermarsi alla superficie significa anche constatare tutto quel che viene fatto da associazioni e comitati per difenderlo. Penso alle tante persone che si battono per istituire un’Area marina protetta di fronte al Conero, il monte di Ancona. Abbiamo sostenuto questa battaglia. O alla gestione attenta dell’Area marina protetta di Torre del Cerrano (Pineto) o di Torre Guaceto, dove tanti volontari di diverse associazioni hanno pulito le spiagge insieme a noi. E ancora a Bari e poi a Brindisi: quanto entusiasmo e quanta partecipazione…

Arrivati al quarto anno della spedizione “Difendiamo il Mare,” si è creata un’alchimia tra diversi i soggetti che la portano avanti; oltre a noi l’Università politecnica delle Marche, il CNR-IAS di Genova, il DiSTAV dell’Università di Genova e la Fondazione Exodus. Siamo diventati una squadra affiatata più che mai. Tommaso, il ragazzo che aiutava il capitano Giacomo nella conduzione della barca, sembrava non avesse mai fatto altro; invece l’esperienza a bordo gli faceva paura come tutte le esperienze che veniva chiamato a fare per la prima volta. Ha vinto quella paura, con grande soddisfazione. Anche noi, come squadra, abbiamo dovuto superare una sfida: non era facile quest’anno riprendere la spedizione e farci vedere, farci ascoltare. Eppure l’interesse dei media è stato alto e abbiamo potuto lanciare dalla barca un appello al governo e al ministro della Transizione Ecologica affinché la direttiva europea sulla plastica monouso sia recepita senza se e senza ma nel giorno della sua entrata in vigore. Ancora stiamo aspettando, l’Italia è vergognosamente in ritardo.

Nel frattempo, le creature marine soffrono per l’emergenza plastica e gli impatti dei cambiamenti climatici, fenomeni che ogni giorno assumono proporzioni sempre più drammatiche e che non risparmiano nemmeno le aree marine protette, segno inequivocabile che in mare non esistono confini e sono necessari interventi coordinati. Per salvare i mari bisogna aumentarne la tutela e ridurre l’impatto delle attività umane più distruttive, a partire dalla produzione della plastica monouso, tra i rifiuti più presenti nei mari del Pianeta.

Se vi capita di vedere rifiuti in plastica in mare o sulla costa, segnalateli: anche quest’anno il servizio Plastic Radar di Greenpeace è attivo su Whatsapp (+39 342 3711267).

E buona estate, con l’augurio di riuscire a ridurre, come Paese e come singoli cittadini, la nostra dipendenza dai combustibili fossili, alla base dei cambiamenti climatici e della produzione di plastica.

Più mare, meno plastica!

Il mare non è una discarica: chiedi alle aziende di abbandonare l’usa e getta.

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