Abbiamo condotto, insieme a Greenpeace Turchia, un’indagine sul traffico di rifiuti in plastica, presumibilmente di origine italiana, che finiscono all’interno di un sito illegale di stoccaggio nella provincia di Smirne, in Turchia.
Si tratta, come si evince dalle foto scattate e come riportato dai media turchi, soprattutto di film plastici flessibili eterogenei che arrivano direttamente dal nostro Paese: dalle testimonianze fotografiche rilevate presso una fattoria ad est di Smirne, infatti, si leggono chiaramente le etichette in lingua italiana appartenenti a marchi ben noti come Beretta, Svelto e Mulino Bianco.
In questo modo, da una parte la Turchia si sta trasformando in una discarica di rifiuti italiani ritenuti poco idonei al riciclo, dall’altra gli sforzi quotidiani di migliaia di cittadini nel separare e differenziare i rifiuti in plastica vengono così vanificati da pratiche assolutamente illegali. Questo dovrebbe farci riflettere sul fatto che riciclare la plastica non è sufficiente né tantomeno è la soluzione a un problema ben più grave: per evitare che situazioni come questa possano verificarsi in futuro, infatti, è necessario ridurre subito e drasticamente la produzione di plastica, a partire dall’usa e getta.
È poi importante ricordare che, in Italia, i rifiuti con imballaggi in plastica vengono gestiti – per più del 90% dei comuni – da Corepla, il Consorzio Nazionale per la raccolta, il riciclo e il recupero degli imballaggi in plastica. Chiediamo pertanto a Corepla – e agli altri operatori di raccolta indipendenti che gestiscono la parte rimanente dei comuni italiani – delle garanzie sul controllo della filiera per escludere che ciò che abbiamo trovato in Turchia provenga direttamente dalla raccolta differenziata da loro operata.
Il mare non è una discarica: chiedi alle aziende di abbandonare l’usa e getta.
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