Sows in the small, narrow gestation cages at factory farms for pigs in the German state of Schleswig-Holstein.

Se sapessi che la carne che viene etichettata e venduta nei supermercati con il bollino di “Benessere Animale” proviene in realtà da allevamenti intensivi, non ti faresti qualche domanda? Noi sì, e pensiamo di non essere gli unici.

I  consumatori sono sempre più attenti a cosa c’è “dietro” al loro piatto. La storia del prodotto, il territorio da cui proviene, ma anche i suoi impatti ambientali ed etici. Concetti come sostenibilità e benessere animale sono (fortunatamente), sempre più di senso comune ma, se non interpretati correttamente, rischiano di trasformarsi in parole ingannevoli.

E’ proprio questo il rischio che si corre con il progetto di certificazione volontaria nazionale dei prodotti di origine animale, al quale il Ministero delle politiche agricole e Ministero della Salute stanno lavorando con i settori della produzione e trasformazione zootecnica.

Perché questo progetto rischia di dare alla luce un’etichetta ingannevole?

  1. Perché il consumatore al banco del supermercato rischia di vedere solo una rassicurante indicazione di benessere animale, anche per un prodotto proveniente, ad esempio, da un allevamento intensivo in cui un suino di 170 kg ha a disposizione 1,1 metri quadrati, invece che il metro quadrato previsto dalla normativa europea come standard legale minimo. 0,1 metri quadrati in più, che di certo non garantiscono “benessere” né agli animali allevati, né ai territori in cui si riversa l’inquinamento causato dagli allevamenti intensivi, né al nostro Pianeta.
  2. Perchè, se  confermato, un progetto simile somiglierà più ad uno strumento per promuovere sul mercato i sistemi intensivi, a discapito delle aziende che con tanti sforzi producono davvero in modo ecologico e nel rispetto del benessere animale, che vedrebbero questi concetti livellati verso il basso, senza poter evidenziare al consumatore il loro maggiore – e reale – livello di qualità.

Qualità nel piatto e nell’ambiente, Trasparenza in etichetta

La soluzione trasparente è semplice: collegare la certificazione, e di conseguenza le informazioni visibili al consumatore, al metodo di allevamento.

L’allevamento è in gabbia? All’aperto? Semibrado? L’alimentazione è al pascolo o artificiale?

Si tratterebbe davvero del livello minimo di informazioni necessarie  – come avviene ad esempio per i codici delle uova – per consentire ai consumatori di scegliere un prodotto in modo consapevole, e spingere i produttori a migliorare i loro standard di benessere animale e sostenibilità ambientale. 

Agire per il cambiamento…non solo a parole!

L’attuale governo ha dichiarato di voler mettere al centro della propria azione la lotta ai cambiamenti climatici, per farlo è necessaria una transizione profonda del nostro sistema produttivo da modelli intensivi a ecologici. Gli attuali Ministri delle Politiche agricole e della Salute, non possono infatti ignorare che il sistema degli allevamenti intensivi contribuisce alla formazione di gas serra al pari del settore dei trasporti, e che in Italia è il secondo responsabile della formazione di polveri sottili. Come si giustifica in questo quadro una scelta che invece premia proprio un modello come quello intensivo, che tutte le evidenze scientifiche in tema di clima ci suggeriscono di superare?

Siamo ancora in tempo per operare il cambiamento necessario e questa può essere una buona occasione per andare nella giusta direzione.

Ferma gli Allevamenti Intensivi

Quello che mangiamo oggi determina il mondo di domani: non mettiamo il Pianeta nel piatto!

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