A turtle is caught in a fishnet trap.

Nei mari del Pianeta sono circa settecento le specie che soffrono l’inquinamento da plastica direttamente, sia perché la ingeriscono sia perché restano intrappolate in cumuli di rifiuti. Tra queste ci sono alcune specie di invertebrati e uccelli marini, ma anche gli animali più iconici che popolano i nostri mari come i delfini, le balene, i capodogli e le tartarughe.

Sempre più spesso ci imbattiamo nelle immagini di quest’ultime intrappolate in reti da pesca o negli anelli di plastica delle lattine di birra. Oppure con lo stomaco pieno di sacchetti e teli di plastica. Proprio questo è successo alla tartaruga Hermaea della specie Caretta caretta, la più comune nel Mediterraneo, che abbiamo liberato lo scorso giugno in Sardegna insieme al personale dell’Area Marina Protetta di Tavolara e del Centro di Recupero del Sinis (CReS).

A baby green sea turtle in a plastic cup on the beach on Bangkaru Island, Sumatra.

Fino ad oggi si pensava che l’attrazione delle tartarughe per la plastica, in particolare per i sacchetti, fosse dovuta alla loro somiglianza al cibo e in particolare alle meduse, preda preferita di molte specie. Infatti, un sacchetto di plastica capovolto può ricordare nella forma una medusa con i manici a formare i tentacoli. Tuttavia, sono state trovate tartarughe intrappolate in cavi di plastica e altri oggetti che non assomigliano affatto a meduse, e ciò sembrava più difficilmente spiegabile. Evidentemente, ci dovevano essere altre ragioni.

Una ricerca recente condotta da un team di scienziati statunitensi sembrerebbe averne capito i motivi. Sarebbe infatti l’odore emanato dalla plastica a trarre in inganno le tartarughe e spingerle a mangiarla. Questo perché la plastica che rimane a lungo nei mari può essere ricoperta di alghe e microorganismi incrostanti che le conferiscono un odore simile a quello del cibo.

Per dimostrare ciò, gli scienziati hanno analizzato le risposte comportamentali di 15 tartarughe marine della specie Caretta caretta, immergendole in piccole vasche e sottoponendole, separatamente, a quattro diversi stimoli olfattivi: acqua distillata, cibo, plastica pulita e plastica lasciata per cinque settimane in mare. I risultati dei test hanno dimostrato che le risposte comportamentali delle tartarughe erano le stesse in presenza del cibo e della plastica lasciata in mare, evidenziando peraltro che bastano solo cinque settimane per trasformare la plastica in un inganno, a volte mortale, per le tartarughe.

Considerando che ogni minuto l’equivalente di un camion pieno di rifiuti in plastica finisce nei mari del Pianeta, possiamo dire con certezza che i nostri oceani sono pieni di trappole mortali per le tartarughe. Purtroppo, ad oggi, non esiste un sistema che ci consenta di pulire i mari dalla plastica: l’unico modo efficace per intervenire sul problema prima che sia troppo tardi è ridurre la produzione di plastica a partire da quella frazione, spesso inutile e superflua, rappresentata dall’usa e getta. Per questo abbiamo lanciato una petizione (no-plastica.greenpeace.it) per chiedere alle grandi aziende di smetterla con la plastica monouso. Solo così riusciremo ad impedire che sempre più tartarughe saranno vittime dell’inquinamento da plastica.

Più mare, meno plastica!

Il mare non è una discarica: chiedi alle aziende di abbandonare l’usa e getta.

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