Oggi la Commissione europea pubblicherà la strategia “Farm to Fork“, dedicata al sistema agroalimentare, e “Biodiversità 2030”, considerati elementi portanti del Green Deal europeo. Greenpeace chiede che questa diventi l’occasione per allineare le politiche agricole comunitarie agli obiettivi di tutela della salute e dell’ambiente.
La crisi legata al Covid 19 ha messo ulteriormente in luce la necessità di un profondo cambiamento del sistema agroalimentare, per fronteggiare l’emergenza climatica in corso e scongiurare nuove epidemie. Per questo Greenpeace chiede anche una profonda revisione dell’attuale PAC (Politica Agricola Comune), che finora ha favorito un modello di agricoltura e allevamento intensivi, destinando un terzo dei sussidi complessivi all’1 per cento delle aziende agricole europee, in relazione alle grandi estensioni di terre che esse controllano, mentre 4,2 milioni di aziende agricole, per lo più di piccole dimensioni, sono scomparse.
In particolare, il sistema agroalimentare europeo si caratterizza per una forte produzione di alimenti di origine animale, al punto che circa il 70 per cento dei terreni agricoli dell’Ue viene utilizzato per l’alimentazione del bestiame, e assorbe circa un quinto del bilancio totale dell’Ue.
“E’ ora di cambiare rotta. Bisogna smettere di finanziare ciecamente un sistema non più sostenibile, aiutando gli agricoltori a produrre alimenti sani e rispettosi dell’ambiente” dichiara Federica Ferrario, responsabile campagna agricoltura di Greenpeace Italia. “Per farlo è necessario infrangere il tabù dell’aumento di produzione ad ogni costo, soprattutto di prodotti che hanno un maggiore impatto ambientale come quelli di origine animale: questo è il momento per iniziare a produrre e consumare meno e meglio, utilizzando i fondi disponibili per sostenere i produttori e i consumatori in questo cambiamento e smettendo di finanziare il sistema degli allevamenti intensivi”.
Gli scienziati stimano che il 31 per cento delle epidemie di malattie emergenti siano legate al cambiamento di uso del suolo e all’invasione umana nelle foreste pluviali tropicali. Allevamento e agricoltura industriali ne sono tra le principali cause: motore della distruzione delle foreste, della perdita della biodiversità e della riduzione del loro importante contributo alla lotta ai cambiamenti climatici. Per questo la scienza è ormai concorde nell’indicare una drastica diminuzione della produzione e del consumo di carne come uno degli interventi chiave per proteggere la salute umana, l’ambiente e il clima.
“Produciamo troppa carne. Anche in Italia il settore era già in crisi molto prima della pandemia di Covid19; non a caso parte dei fondi già stanziati dal governo e di quelli che saranno resi disponibili con il Decreto Rilancio sono destinati proprio a far fronte a questa “crisi di sovrapproduzione”, attraverso misure come lo stoccaggio delle carni o l’ammasso di formaggio e cagliate. Mai come in questo momento è dunque necessaria una visione ampia e strategica su come utilizzare le risorse, incoraggiando modelli di produzione e consumo ecologici e restituendo dignità a chi lavora sul campo per produrre il cibo che arriva sulle nostre tavole. Le strategie europee in uscita oggi, devono affrontare questi nodi” conclude Ferrario.
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