Da quando il fenomeno Greta Thunberg è esploso e i giovani di Fridays For Future hanno iniziato a riempire le piazze di tutto il mondo, i media si sono sbizzarriti nel cercare di dare una definizione precisa del movimento per il clima. Per alcuni, i giovani che saltano la scuola sono un nuovo ’68, mentre per altri sono poco più che gretini; per alcuni faranno la storia, per altri possono sparire senza lasciare il segno.
La stampa e l’opinione pubblica hanno già speso fiumi d’inchiostro per raccontare cosa sia Fridays For Future, ma quanti si sono interrogati su cosa noi giovani attivisti per il clima non siamo?
1) Non siamo ambientalisti.
Ebbene sì: per quanto strano possa sembrare, il termine ambientalismo non è il più adatto per descrivere il nostro movimento. Rispetto alle storiche posizioni dei movimenti per l’ambiente – che rivendichiamo e facciamo nostre – di rispetto della natura, del Pianeta che ci ospita, degli animali, noi aggiungiamo un elemento ben più egoista: noi siamo innanzitutto preoccupati per noi stessi, per quel benessere che vorremmo nel nostro futuro e che il cambiamento climatico mette inevitabilmente a rischio. Una differenza di narrazione che già da tempo era in atto nei movimenti verdi – e le campagne di Greenpeace ne sono un perfetto esempio – ma che diventa centrale con la nuova ondata ecologista.
2) Non siamo tutti sulla stessa barca.
La metafora dell’umanità come nave che affonda è in uso da tempo nel mondo dell’attivismo ecologista, ma risulta insufficiente per descrivere una delle parole d’ordine più importanti per Fridays: la giustizia climatica.
Di fronte al collasso ecologico non siamo tutti uguali: affianco ai milioni, miliardi di persone comuni che si vedranno danneggiate dalle disastrose conseguenze del climate change troviamo una minoranza piccola ma potente, un 1% che guadagna da inquinamento ed emissioni. Sono i proprietari delle grandi industrie dannose per l’ambiente, i magnati del fossile, i politici sul loro libro paga. Giustizia climatica significa per noi essere coscienti che la transizione ecologica va fatta – e va fatta subito – ma il suo costo deve ricadere su chi è responsabile della crisi climatica, e non sulle fasce sociali più deboli.
3) Non abbiamo tempo.
È uno degli slogan più urlati nelle piazze dei global strike per il clima, ma anche quello che più riassume l’essenza di un movimento come il nostro. I tempi che la scienza ci indica per invertire la rotta sono stretti, strettissimi, e per questo non possiamo accettare soluzioni di “transizione”, “lente”, “passo dopo passo”. Il cambiamento deve arrivare, e deve arrivare ora. Anche per questo siamo un movimento che accoglie tutte le fasce d’età, ma fondamentalmente youth-led: siamo noi giovani ad avere più vita davanti e quindi più tempo per assistere e subire alluvioni, desertificazioni, precipitazioni estreme.
Analizzare Fridays For Future, capire cosa il nostro movimento non sia, ci aiuta a comprenderne il successo e a prevederne gli esiti. Per capire cosa siamo davvero, invece, non c’è che da unirsi a noi. Vi aspettiamo in piazza venerdì 27 settembre, in tutte le città italiane. Non mancate!
Lorenzo Tecleme, FFF di Sassari
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