
Ci hanno detto che gli allevamenti di pesce salveranno i nostri mari. Che sono una soluzione sostenibile alla pesca eccessiva. Che possono soddisfare la domanda globale di prodotti ittici, sempre più in crescita. Ma è davvero così?
L’acquacoltura nel 2022 ha superato la produzione di pesce derivante dalla pesca: è il settore destinato alla produzione di cibo più in crescita negli ultimi anni. Basti pensare che nel 2022 la produzione mondiale di pesce allevato ha raggiunto il record di 130.9 milioni di tonnellate.
Ma sotto la superficie degli allevamenti di pesce industriali si nasconde un sistema che comporta gravi danni agli ecosistemi marini, genera rischi per la salute umana, minaccia la sicurezza alimentare nei Paesi più vulnerabili e infligge sofferenze indicibili agli animali.
È ora di guardare in faccia la realtà. Gli allevamenti di pesce non sono la soluzione sostenibile che vorrebbero farci credere: sono fabbriche sommerse che stanno mettendo a repentaglio la salute del pianeta e la nostra. Scopriamo perché è tempo di cambiare rotta.

L’acquacoltura in Italia: un settore in espansione
Nel nostro Paese, l’acquacoltura è un settore in forte crescita. Nel 2023 ha generato un giro d’affari di oltre 304 milioni di euro, con una produzione complessiva di 54.400 tonnellate di pesce allevate in oltre 700 siti produttivi sparsi su tutto il territorio. Le specie più allevate sono la trota, l’orata e la spigola.
Dietro questi numeri, però, si nascondono numerosi problemi sommersi. Una presunta patina di sostenibilità vorrebbe farci credere che queste fabbriche sottomarine siano virtuose dal punto di vista ambientale. Tuttavia, la realtà ci parla di tutt’altra situazione: eccola.

Perché gli allevamenti di pesce sono un problema
Inquinamento dei mari e perdita di biodiversità
Gli allevamenti di pesce intensivi sono veri e propri impianti industriali sottomarini che rilasciano quantità elevate di deiezioni, mangimi, antibiotici e pesticidi nei mari. Queste sostanze si accumulano nei fondali e alterano profondamente l’equilibrio degli ecosistemi costieri, minacciando la biodiversità e la salute degli organismi marini. L’assenza di regolamentazioni efficaci rende questi impianti un pericolo ecologico, soprattutto in aree con scarso ricambio idrico.

Rischi per la salute umana
Le conseguenze degli allevamenti di pesce non si fermano sott’acqua. L’uso sistematico di antibiotici nei pesci allevati potrebbe provocare antibiotico-resistenza anche negli esseri umani, aumentando i rischi per la salute pubblica.
Un prodotto presentato come sano e naturale può nascondere pericoli che neanche immaginiamo. È il caso ad esempio del salmone cileno, allevato con uso eccessivo di antibiotici così significativo da essere uno dei salmoni con il più alto tasso di consumo di antibiotici al mondo.
Una falsa soluzione alla pesca eccessiva
L’acquacoltura viene spesso presentata come l’alternativa sostenibile alla pesca eccessiva, ma in realtà contribuisce essa stessa al sovrasfruttamento delle risorse marine. Per nutrire i pesci allevati – che sono per la maggior parte carnivori – servono grandi quantità di pesce selvatico.
I numeri parlano chiaro: per produrre 1 kg di tonno allevato servono fino a 20 kg di pesce trasformato in mangime. Questo significa che gli allevamenti ittici non riducono la pressione sugli stock marini, ma la aumentano, comportando una perdita netta per mari e oceani. È un paradosso che svela l’illusione dell’acquacoltura industriale come pratica sostenibile.

I pesci trascorrono la vita tra sofferenze atroci
Gli allevamenti di pesce intensivi non solo danneggiano l’ambiente, ma condannano milioni di pesci a sofferenze indicibili. Studi scientifici hanno da tempo chiarito che i pesci sono esseri senzienti, capaci di percepire dolore, paura e stress. E negli allevamenti ittici sono costretti a sopravvivere in condizioni terribili.
Migliaia di pesci vivono ammassati in enormi reti sott’acqua, con scarsa capacità di movimento, cercando disperatamente di liberarsi. Trascorrono la vita rinchiusi in gabbie in mezzo al mare e subiscono stress e lesioni a causa di sovraffollamento, tecniche di manipolazione invasive e metodi di macellazione dolorosi. Ma poiché nessuno li vede, la loro sofferenza rimane invisibile.

Una minaccia alla sicurezza alimentare dei Paesi in via di sviluppo
Uno degli aspetti più controversi dell’acquacoltura intensiva riguarda l’uso massiccio di farina e olio di pesce prodotti da specie marine selvatiche. Molti di questi pesci, come i piccoli pesci pelagici (sardine, acciughe e sgombri), sono fondamentali per l’alimentazione umana nei Paesi del Sud-Est asiatico e in Africa. Tuttavia, la pesca industriale li sta sottraendo alle comunità locali per trasformarli in mangimi per i pesci d’allevamento.
Anche i pesci considerati solitamente di poco valore – che invece sono un’importante fonte di cibo per le popolazioni più povere dei Paesi in via di sviluppo – spesso vengono catturati accidentalmente e usati per la produzione di farina di pesce. Queste pratiche aggravano l’insicurezza alimentare di milioni di persone che dipendono da queste risorse per sopravvivere.

Fondi pubblici a un modello sostenibile solo in apparenza
Nonostante gli impatti ambientali e sociali degli allevamenti di pesce, il settore continua a ricevere ingenti finanziamenti pubblici. Solo in Italia, attraverso il Fondo Europeo per gli Affari Marittimi (FEAMPA) e tramite dei finanziamenti nazionali, è stato stanziato 1 miliardo di euro per la pesca e un’acquacoltura sostenibile.
L’Unione Europea giustifica questi investimenti con presunti criteri di sostenibilità, ma nella realtà tali criteri sono spesso vaghi o del tutto assenti. E intanto questo flusso di denaro pubblico alimenta un sistema che danneggia il mare, condanna milioni di pesci a sofferenze indicibili e mette a rischio la nostra salute.
Basta allevamenti di pesce: serve un nuovo modello alimentare
Di fronte alle gravi criticità degli allevamenti di pesce, è sempre più evidente la necessità di ripensare il nostro rapporto con il cibo e con il mare. Scegliere consapevolmente cosa portiamo in tavola può fare la differenza: orientarsi verso un consumo più responsabile, adottare diete più vegetali, valorizzare la pesca artigianale e ridurre la dipendenza dal pesce allevato sono passi fondamentali per tutelare gli ecosistemi marini, rispettare gli animali e proteggere la nostra salute.
Chiediamo al governo italiano e all’Unione Europa di fare la loro parte: bisogna sostenere un modello di produzione e consumo più equo e sostenibile. Solo così potremo davvero proteggere i nostri mari e assicurare un futuro più giusto per tutte le comunità che da essi dipendono.
Stop allevamenti di pesce
È ora di scegliere un modo più giusto di produrre cibo!