L’originale di questo articolo si trova qui sul Fatto Quotidiano
Il sistema degli allevamenti intensivi appare sempre più come l’elefante nella stanza del dibattito sul futuro delle politiche agricole dei Paesi europei: nessuno può più negare che i problemi ad esso legati ci siano, ma in molti, soprattutto nelle sedi istituzionali, provano a voltare lo sguardo dall’altra parte. Molti, ma non tutti: il voto della plenaria europea sulla PAC (Politica Agricola Comune) dello scorso ottobre ha visto il 38 per cento dei parlamentari votare contro o astenersi su un testo che non tiene in debita considerazione gli impatti ambientali della produzione di cibo in Europa e che, in buona parte, sono proprio legate al modello zootecnico intensivo.
Problemi che la recente pandemia ha reso ancora più evidenti e che dal dibattito europeo, dove sta per concludersi il percorso decisionale sul testo finale della PAC, stanno per arrivare direttamente sul tavolo del Ministero delle Politiche Agricole, incaricato di stilare il Piano Nazionale Strategico per la PAC entro dicembre 2021.
Mentre tutti i governi sono impegnati nell’affrontare le conseguenze della crisi del Covid19, è particolarmente importante accendere i riflettori sulle cause, per fare in modo da non replicare gli stessi errori del passato. Tra queste, c’è proprio il sistema degli allevamenti intensivi che continua a produrre sempre più carne venduta a basso costo, con margini minimi per gli allevatori, e costi enormi per l’ambiente e la salute.
Si stima infatti che circa il 70% di tutte le malattie infettive emergenti – come Sars, ebola, influenza suina e influenza aviaria – provengano da animali e tanti animali ammassati in spazi ristretti sono l’ambiente ideale per il proliferare dei virus, compresi i coronavirus e i virus dell’influenza, e quando questi vengono movimentati su lunghe distanze, come spesso avviene, possano far aumentare la trasmissione di malattie.
La camera a gas d’Italia
Affrontare questo problema è particolarmente urgente soprattutto per alcune zone italiane, come la Pianura Padana, dove si concentra la maggior parte degli animali allevati in modo intensivo in Italia: nella sola Lombardia si trova la metà dei suini e un quarto dei bovini del nostro Paese. La regione padana è anche tra le zone con l’aria più inquinata d’Europa, in particolare per il livello di polveri sottili, che rappresentano una seria minaccia per la salute e che, in Italia, vedono proprio gli allevamenti intensivi come seconda causa di formazione. Una forma di inquinamento che diversi studi scientifici stanno mettendo in correlazione con un peggioramento delle problematiche legate al Covid-19, mostrando come l’esposizione prolungata all’aria inquinata e a questo tipo di inquinante atmosferico in particolare, ci renda più vulnerabili a malattie e nuovi patogeni, e possa essere collegata anche ad un aumento della mortalità da Covid-19.
Fondi per non andare a fondo
Questo è dunque il momento perfetto per il governo Italiano per intervenire in questo settore, utilizzando i fondi europei e nazionali per sostenere gli allevatori nell’adozione di metodi realmente ecologici, garantendo loro l’aiuto economico necessario anche per ridurre il numero degli animali allevati. Parallelamente è necessario promuovere politiche che incoraggino l’adozione di diete principalmente a base vegetale, assecondando e alimentando l’attenzione sempre crescente da parte delle persone sulle implicazioni etiche e ambientali dei propri acquisti. Uno strumento efficace può essere l’adozione di un sistema di certificazione dei prodotti di origine animale, che indichi in etichetta il metodo di allevamento e possa essere uno strumento di trasparenza a beneficio dei consumatori tanto quanto dei produttori più virtuosi.
È bene sottolineare infatti che il settore zootecnico da anni affronta crisi cicliche, aggravate in tempi recenti anche dalla pandemia, e che a farne le spese sono proprio i piccoli allevatori, schiacciati tra spese di gestione e prezzi talmente bassi da spingerli verso produzioni sempre più intensive. Dal 2004 al 2016, l’Italia ha perso 320.000 aziende agricole medio-piccole, e l’Europa ci dice che nel nostro Paese una piccola parte di beneficiari (20 per cento) riceve la maggior parte dei sussidi agricoli (75% dei fondi Pac).
È il momento, anche per le istituzioni italiane, di guardare l’elefante nella stanza, superando il sistema degli allevamenti intensivi per andare verso un sistema agroalimentare con meno carne ma di maggiore qualità – anche per l’ambiente – accessibile a tutti.
Quello che mangiamo oggi determina il mondo di domani: non mettiamo il Pianeta nel piatto!
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